Due casi negli ultimi due giorni, due relazioni finite nel sangue: un omicidio-suicidio con un’arma comperata ad hoc e l’ennesimo omicidio di una fidanzata. Aggiunti ai 73 dall’inizio dell’anno, denunciati dal comandante generale dei Carabinieri Tullio Del Sette sentito in audizione in Commissione d’inchiesta sul femminicidio al Senato, fanno 75 al 2 agosto 2017: numeri - stabili nel trend - che il Comandante ha definito «inaccettabilmente alti», per un contesto culturale come il nostro.
Nel frattempo sono arrivate le motivazioni della sentenza di primo grado di uno dei casi più crudi: l’omicidio di Sara Di Pietrantonio, studentessa di 22, strangolata e data alle fiamme nei pressi della Magliana il 29 maggio del 2016, per cui nel maggio scorso era stato condannato all’ergastolo senza isolamento diurno Vincenzo Paduano, vigilantes di 27 anni. Quello descritto dal Giudice per l’udienza preliminare di Roma Gaspare Sturzo è un copione che ricorre nelle ragioni sottese agli omicidi delle donne in un contesto relazionale: una relazione che finisce, un uomo che non accetta e che pretende dominio sulla vita sulla dell’ex fidanzata. Ma, nel caso in questione, particolarmente aggressivo nelle condotte: una pretesa di sottomissione molto invadente, fatta di pedinamenti fisici e virtuali, sfociata in un’aggressione fisica premeditata, aggravata dagli abietti motivi, dalle condizioni di minorata difesa della vittima. Sara è stata uccisa, scrive il giudice, perché «Si rifiutava di riconoscere il ruolo di padrone della sua vita in Vincenzo Paduano».
Rinvenendo prova della premeditazione nei messaggi inviati alla ragazza e al nuovo fidanzato e nei post diffusi su Facebook il giudice individua aggravanti plurime e conclude: «Non si può negare che il dolo di Paduano sia stato della massima potenza, manifestando aspetti di vera e propria crudeltà verso Sara».
La conclusione spiega la severità della pena che per legge non avrebbe potuto essere maggiore: ergastolo senza isolamento diurno, che scaturisce (automaticamente come previsto dalla legge) dall’applicazione dello sconto per il rito abbreviato a una condotta da ergastostolo con isolamento diurno.
Resta la consapevolezza che, conclusi anche velocemente i processi, in questo caso meno di un anno per un primo grado, rimane lavoro da fare in termini di educazione e prevenzione. Perché le condanne possono solo venire a reati commessi e da sole, per quanto esemplari, stentano a cambiare la mentalità sottesa a questi delitti: «Le norme attuali sono adeguate» ha spiegato il Comandante del Sette in Commissione al Senato, «ed è difficile ritenere che con l'inasprimento delle pene (prevedendo una fattispecie di omicidio ad hoc per il femminicidio ndr.) si possa ottenere un altro effetto deterrente. Serve un cambiamento «di natura culturale e sociale: è indispensabile promuovere nella scuola e nella società civile una concezione della donna che ne rispetti dignità e ruolo, e potenziare l'intervento dei servizi sociali e assistenziali, in modo da proteggere più possibile le vittime».