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lunedì 09 settembre 2024
 
 

Ferrarotti: «Solo i romani possono uscire dal marcio in cui vivono»

10/12/2014  Il sociologo: «L’uscita da questa situazione non potrà essere un dono di un supercommissario o di un superuomo, ma l’effetto di una maggiore partecipazione».

«Quello che sta accadendo è un déjà vu. È uno scandalo che è già accaduto nei 30 secoli di vita della città. Roma ha già visto tutto, ingoiato tutto, superato tutto». Franco Ferrarotti, il “decano” della sociologia italiana, che ha appena dato alle stampe il volume Roma caput mundi (Gangemi Editore), è convinto che «per capire quello che sta avvenendo bisogna indagare le complicità e sapere che un certo filo nero che c’è da sempre in città è, oggi, più importante del tempo del fascismo. Fra l’altro bisogna anche ricordare che i regimi hanno sempre governato meglio dopo la loro caduta perché al Governo sono andati uomini formatisi sotto la dittatura».

E Roma, secondo Ferrarotti, non si è mai scrollata «da un certo autoritarismo clericale, da un’aristocrazia papalina e savoiarda e dal ventennio fascista ». Tutte complicità che hanno fatto sì che andassero al potere forze sociali e personaggi politici e culturali che non rispondono ai bisogni concreti della città – dal traffico congestionato alla pulizia delle strade, agli asili nido, a tutti quei servizi adeguati a una grande capitale – , ma a interessi che possono perpetuare il potere di singoli gruppi».

E racconta di quando, ancora negli anni Settanta Luigi Petroselli gli chiedeva di diventare sindaco di Roma. «Ma alla mia risposta: “Accetto solo se azzeriamo tutti i contratti con tutte le aziende appaltatrici del Comune”, lui rispose che non era una cosa fattibile perché quei circa duemila contratti erano la nostra base elettorale. Anche quando non c’è corruzione bisogna spezzare questi legami che fanno sì che, alla fine, siano più i burocrati che i politici a governare ». Ferrarotti denuncia anche un’altra caratteristica della corruzione romana: «Il denaro pubblico viene saccheggiato non alzando il prezzo come avviene da altre parti, ma evitando di fornire i servizi o il manufatto dell’appalto per i quali si sono ricevuti i fondi». E punta il dito soprattutto contro i burocrati. «I politici nei palazzi sono i luogotenenti di un potere che è altrove. Il grande intrallazzatore è il burocrate, che resta quando i politici passano».

«Ma c’è un modo di risollevarsi da questo degrado », conclude il sociologo. «L’uscita da questa situazione melmosa non è un dono di un superuomo, di un commissario, ma può essere soltanto una presa di coscienza di ciò che è accaduto. Non basta un elenco di nomi, bisogna far capire il meccanismo della corruzione. Occorre sapere, per esempio, come hanno funzionato questi “magnaccia della miseria” che ai rom facevano arrivare solo una briciola dei fondi pubblici. Ma poi occorre far sì che la maggioranza della popolazione non sia più la beneficiaria passiva dello Stato, ma diventi compartecipe, rinnovando il legame democratico. Terzo: un’azione molecolare dal basso, a poco a poco, come quella del volontariato. Nella inclusione e nella partecipazione è il segreto della persistenza di Roma».

 
 
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