«Quello che sta accadendo è un déjà vu.
È uno scandalo che è già accaduto
nei 30 secoli di vita della città. Roma
ha già visto tutto, ingoiato tutto, superato
tutto». Franco Ferrarotti, il
“decano” della sociologia italiana, che ha appena
dato alle stampe il volume Roma caput mundi
(Gangemi Editore), è convinto che «per capire
quello che sta avvenendo bisogna indagare le
complicità e sapere che un certo filo nero che c’è
da sempre in città è, oggi, più importante del
tempo del fascismo. Fra l’altro bisogna anche ricordare
che i regimi hanno sempre governato
meglio dopo la loro caduta perché al Governo sono
andati uomini formatisi sotto la dittatura».
E
Roma, secondo Ferrarotti, non si è mai scrollata
«da un certo autoritarismo clericale, da un’aristocrazia
papalina e savoiarda e dal ventennio fascista
». Tutte complicità che hanno fatto sì che andassero
al potere forze sociali e personaggi politici
e culturali che non rispondono ai bisogni concreti
della città – dal traffico congestionato alla pulizia
delle strade, agli asili nido, a tutti quei servizi adeguati
a una grande capitale – , ma a interessi che
possono perpetuare il potere di singoli gruppi».
E racconta di quando, ancora negli anni Settanta
Luigi Petroselli gli chiedeva di diventare
sindaco di Roma. «Ma alla mia risposta: “Accetto
solo se azzeriamo tutti i contratti con tutte le
aziende appaltatrici del Comune”, lui rispose
che non era una cosa fattibile perché quei circa
duemila contratti erano la nostra base elettorale.
Anche quando non c’è corruzione bisogna
spezzare questi legami che fanno sì che, alla fine,
siano più i burocrati che i politici a governare
». Ferrarotti denuncia anche un’altra caratteristica
della corruzione romana: «Il denaro pubblico
viene saccheggiato non alzando il prezzo come
avviene da altre parti, ma evitando di fornire
i servizi o il manufatto dell’appalto per i quali si
sono ricevuti i fondi». E punta il dito soprattutto
contro i burocrati. «I politici nei palazzi sono
i luogotenenti di un potere che è altrove. Il grande
intrallazzatore è il burocrate, che resta quando
i politici passano».
«Ma c’è un modo di risollevarsi da questo degrado
», conclude il sociologo. «L’uscita da questa
situazione melmosa non è un dono di un superuomo,
di un commissario, ma può essere soltanto
una presa di coscienza di ciò che è accaduto.
Non basta un elenco di nomi, bisogna far capire
il meccanismo della corruzione. Occorre sapere,
per esempio, come hanno funzionato questi
“magnaccia della miseria” che ai rom facevano
arrivare solo una briciola dei fondi pubblici.
Ma poi occorre far sì che la maggioranza della popolazione
non sia più la beneficiaria passiva dello
Stato, ma diventi compartecipe, rinnovando il
legame democratico. Terzo: un’azione molecolare
dal basso, a poco a poco, come quella del volontariato.
Nella inclusione e nella partecipazione
è il segreto della persistenza di Roma».