E’ appena tornato dagli Stati Uniti, è stato in Sudamerica, conosce bene le situazioni europee e anche quelle mediorientali, compreso il Nordafrica. Franco Ferrarotti, 86 anni, il più noto dei sociologi italiani all’estero, ha un’idea molto precisa del perché gli italiani stentano a diventare “indignados”. «Io arrivo adesso dal Brasile», spiega, «e laggiù la popolazione media
ha un’età che si aggira sui 25-30 anni, quindi giovani ce ne
sono tanti. In
italia, invece, sono ormai una merce rara, e quei
pochi che ci sono se possono "scappano" all'estero a cercare
lavoro. Nel Nord Italia il
50 per cento delle donne in età di procreazione rinuncia ad avere figli.
E questo va tenuto ben presente quando ci si domanda perché la massa
dei giovani non protesta, non invade le piazze. C’è anche un
fattore demografico».
Secondo il professor Ferrarotti nelle proteste che si registrano in giro
per il mondo c’è ovviamente un effetto di enfasi, un moltiplicatore di
quello che si vede attraverso i media, e anche i social network hanno
avuto un ruolo importante, sia per per quanto riguarda la
primavera africana sia per quanto sta accadendo in Turchia. I detonatori
possono essere diversi, il disagio tuttavia è reale, perché o si
tratta di satrapie, di dittature che vanno avanti nel
tempo, come nei casi di Gheddafi o Mubarak, oppure si tratta di governi
autoritari come quello di Erdogan; o ancora, per tornare al
Brasile, si tratta di un improvviso ristagno, di una caduta nel ritmo di
sviluppo,
cosa che è tipica del capitalismo, che non si sviluppa attraverso un
ordinato flusso omogeneo, ma a pelle di leopardo e con congiunture alte e
basse, perché i capitalisti sfruttano questi spazi per
fare denaro. Poi ci sono casi diversi
come la Francia, dove le proteste dilagano per il
riconoscimento del matrimonio alle coppie
omosessuali.
Allora come mai non Italia? «Perché da noi oltre al fattore demografico», aggiunge Ferrarotti, concordando in questo con l'analisi di Francesco Belletti, «c’è un ammortizzatore “segreto”, potente,
di natura mediterranea, di cui si può dire che l’Italia è il centro, ed è appunto la rete familiare, che ci aiuta a passare quasi
indenni attraverso crisi tremende. Per stare alla storia contemporanea che tutti
ricordano, basta pensare all’8 settembre del 1943, il collasso di tutte le Istituzioni, il
re che scappa a Brindisi, e la parola d’ordine in quei giorni è molto semplice: "Tutti a casa". Quindi la
casa, la famiglia, i valori primordiali. Non l'indignazione. Questo spiega il fatto, conturbante, che in Italia
pur di fronte a un disagio reale, non si assiste al tipo di insorgenza
che invece avviene normalmente in altri Paesi».
Quindi in Italia non vedremo mai dilagare le proteste? «Questo
non lo si può dire, perché la storia non segue un libretto come all'opera», precisa il sociologo Ferrarotti, «però certo è che in Italia, anche quando finalmente si raggiunge quasi il punto di rottura, troviamo sempre,
come un’onda anomala, se non un “masaniello”, un commesso
viaggiatore, un comico di professione, un ciarlatano che intercetta sì il disagio - e questo, si badi bene, è già avvenuto nel ‘68 - ma poi non
riesce a tradurre la protesta vera, genuina, in proposta razionale.
Quindi tutto viene giocato sul piano della emotività, della commedia
dell’arte, dell’improvvisazione, della barzelletta. Questo è, purtroppo, tipicamente italiano. E spiega anche il fatto che il nostro Paese, dalla
caduta dell’Impero romano d’Occidente, non abbia mai conosciuto una vera
rivoluzione».
Eppure la protesta, anche in Italia, sta covando sotto la cenere. «Non ci sono dubbi», conclude il professore. «E’ raro un caso come quello italiano in cui c’è
un distacco così forte, ormai quasi patologico, dalla struttura istituzionale e da
quegli organi che secondo la Costituzione dovrebbero organizzare il
consenso, che sono i partiti politici. Ma sotto questa cenere, sotto questa specie di rassegnazione, cova una protesta radicale: un'indignazione sopita, silenziosa, che potrebbe non stare ancora a lungo senza esprimersi. Devo dire che, per il prossimo
avvenire, se non ci sarà un rinnovamento radicale dei partiti, se
addirittura le Istituzioni invece di proclamare, di annunciare, non
cominceranno davvero a “fare”, allora credo che veramente anche in Italia dovremo assistere a una “eruzione” spaventosa».