Nel 1944, durante i 23 giorni
della Libera Repubblica di
Alba, il partigiano scrittore
Beppe Fenoglio viene invitato
a casa di una famiglia
di pasticceri noti in città.
«Vieni giù in cantina, ho
qualcosa da mostrarti», gli
dice verso la fine della serata con un tono da carbonaro il figlio del padrone di casa, un giovane ventenne magro, con un naso ben piantato e due occhi vispi che lo fissano come se alludesse a un'arma segreta. Fenoglio
si ritrova davanti a un oggetto
misterioso coperto da un telo. «Una
nuova mitragliatrice?», chiede lo
scrittore. «No, molto di più», risponde
il giovane levando con eccitazione l’involucro: «È una
macchina per fare il cioccolato, quando finirà la guerra finalmente mi ci
potrò dedicare a tempo pieno». Quel
giovane si chiama Michele Ferrero.
L’aneddoto, raccontato da Walter Fenoglio, fratello dell'autore del "Partigiano Johnny", e raccolto dal suo biografo Piero Negri (il volume è uscito qualche anno fa per i tipi di Einaudi), dice molto dell’epopea dell’imprenditore
del cioccolato, morto a 89 anni
dopo una vita consacrata alla costruzione
di un impero dolciario. Con quella macchina Ferrero
voleva già andare molto lontano senza
muoversi da dove sarebbe partito
per conquistare e addolcire il mondo:
le sue Langhe.
«Michele era il nostro padre buono
», lo ricorda il sindaco di Alba Maurizio
Marello: «Non è retorica, prima
di lui la Langa era quella della Malora
di Fenoglio, un microcosmo chiuso
di fame e miseria.
Con la Ferrero i
contadini diventano operai, hanno
la possibilità di disporre di un reddito
per la famiglia, ma rimangono
a contatto con la propria terra, magari
da coltivare il sabato e la domenica.
Così la Langa si è preservata dalle
speculazioni edilizie, dalle migrazioni
selvagge come quelle avvenute nel
Mezzogiorno o nel Veneto. Il sistema
di autobus che passa per le colline a
prendere i dipendenti per portarli in
fabbrica è lo stesso del Dopoguerra».
Michele Ferrero era nato a Dogliani
il 26 aprile 1925. Pasticcere di seconda
generazione, è stato l’artfice dello
sviluppo dell’aziendina fondata dal
padre Pietro nel 1946 e di cui prenderà saldamente le redini a 32 anni, dopo la morte
dello zio Giovanni. «Di grandi uomini
ad Alba ne sono nati due in un secolo
e mezzo. Uno è il vostro beato don Alberione,
l’altro è Ferrero», ricorda l’imprenditore
vinicolo Bruno Ceretto. Il
suo primo incontro con l’inventore
della Nutella risale al 1967: «Fu durante
il mio banchetto di nozze, in un
ristorante torinese di proprietà della
famiglia Ferrero. In una saletta attigua
vidi Michele e la moglie, la signora
Maria Franca, che pranzavano. Lui
aveva 42 anni ma era già un personaggio
conosciuto. Io volevo fondare
un’azienda vinicola e gli chiesi qual
era il segreto del suo successo. Mi rispose
in dialetto: il segreto è rimanere
una persona seria e non chiedere
niente a nessuno».
Lavorare, creare, donare. Le tre parole compariranno nel logo della Fondazione
del Gruppo, nata nel 1983, nel
Dna del quale è impresso il concetto di
responsabilità sociale, un valore su cui
Michele Ferrero ha insistito per tutta
la vita. «Aveva voluto che in azienda
ci fosse un premio produzione legato
al rendimento scolastico dei figli
dei dipendenti. Un bravo lavoratore
doveva essere anche un buon padre
di famiglia». La sua capacità di lavoro
era leggendaria. Michele non aveva
un ufficio, o forse ce l’aveva, ma non
lo usava. «Il suo vero ufficio», ricorda
Ceretto, «era la “chimica”, come la chiamava
lui, il laboratorio dove assaggiava
continuamente i nuovi prodotti,
frutto del suo palato eccezionale».
Lì
sono nate tutte le invenzioni Ferrero,
a cominciare da quella pasta di cioccolato
e nocciole che battezzerà, secondo
un’intuizione che gli venne durante
un viaggio a Francoforte, Nutella (da
“nut”, nocciola in inglese).
Con gli anni l’omonima azienda
è diventata una multinazionale presente
in 52 Paesi, con oltre 34 mila
dipendenti, 20 stabilimenti produttivi
e 9 aziende agricole, dall’Australia
alla Germania. Tutti i prodotti
niscono in Tv. La “ditta” di Michele
infatti non ha mai trascurato le innovazioni
del marketing: è stata una delle
prime in Italia a investire sulla pubblicità
(celebri i famosi Caroselli).
Quando lascia la
carica di amministratore delegato, va
a vivere a Montecarlo, dove ha sede
un’altra società del Gruppo Ferrero, la
Soremartec (Société de recherche de
marketing et technique), dedicata al
rinnovamento dei sistemi di produzione,
no ai test di mercato. Nel 2005
ha creato le Imprese Sociali Ferrero, già
attive in India, Sudafrica e Camerun.
Basate su una concezione prettamente
imprenditoriale, agiscono però con
uno spirito “sociale”, poiché sono
nalizzate
da un lato a creare posti di lavoro
nelle aree più svantaggiate dei Paesi
emergenti, e dall’altro a realizzare progetti
e iniziative sociali, soprattutto
per i bambini. Anche questa, una sua idea.
Uomo di grande fede,
devotissimo a Maria, il "signor Michele" ha voluto che in
ogni stabilimento, in tutto il mondo, ci
fosse una “Madonnina”.
La rivista “Forbes” gli attribuisce
un patrimonio stimato in 17 miliardi
di dollari, facendolo di fatto risultare
il più ricco uomo italiano. Soldi di cui non godeva un granché. «In vacanza
si annoiava», ricorda Ceretto, «spesso
scappava nei supermercati per controllare
dove venivano sistemati i suoi
prodotti, oppure li comperava e tornava in camera d'albergo per assaggiarli
e controllarne la qualità». La
vita della dinastia Ferrero non è stata
risparmiata da momenti tragici e dolorosi.
Nell’aprile del 2011 Michele perde
il figlio Pietro, morto prematuramente
in Sudafrica all’età di 48 anni. «La
morte di Pietro fu un momento tragico
per tutti, non solo per la famiglia»,
ricorda il sindaco Marello, «eravamo
tutti in angoscia. Lui allora tornò in
stabilimento, a 86 anni, per incoraggiare
i suoi dipendenti, i suoi dirigenti, la
città. Sentivamo l’elicottero al mattino
alle otto che si posava per poi ripartire
dodici ore dopo. Era come il suono
della campana, ci dava energia».
Il padre
buono era tornato tra i suoi figli per
aiutarli a ricominciare.