Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat e della Chrysler: «Premium, vogliamo diventare premium». È questa la parola magica alla quale sembra legato il futuro della neonata azienda Fiat Chrysler Automobiles. Ma, innanzitutto, cerchiamo di capire che cosa significa questo vocabolo. In generale, nel linguaggio del Marketing, "Premium" è riferito a prodotti che sono più costosi rispetto ad altri della stessa categoria. Per esempio, nel mercato del cioccolato, un marchio come Lindt è considerato un premium brand rispetto a Milka, Novi, eccetera. Un altro esempio: Apple è un premium brand rispetto ad altri costruttori di computer che sono vissuti dagli appassionati di Cupertino come prodotti più "dozzinali", popolari, alla portata di tutti. Non sempre questo è vero, ma il termine si porta dietro una connotazione di qualità, di esclusività. Spostando tutto questo nel mondo dell'automobile, le vetture "premium" sono quelle che hanno sempre contenuti in più rispetto alle altre, per i quali il consumatore è disposto a pagare un "premium price": cioè una differenza di prezzo che chi acquista un'auto presso un concessionario sborsa volentieri per beneficiare di quei maggiori contenuti in "esclusiva", rispetto alla maggioranza degli altri consumatori che possono accedere soltanto ad automobili "normali", ossia non-premium.
Bene: è questa la strada sulla quale Sergio Marchionne ha dichiarato di voler condurre la nuova azienda nata oggi a Torino e che avrà sede legale in Olanda, fiscale nel Regno Unito e una collocazione in Borsa negli Stati Uniti e a Milano. Per esempio, lo stabilimento Maserati di Grugliasco, alle porte di Torino, che impiega 2.200 lavoratori, molti dei quali sono tornati a un impiego full-time, assembla le Quattroporte e le Ghibli, auto di lusso, certamente premium, che la Maserati intende esportare soprattutto sui mercati statunitense e cinese. E quest'ultimo, per fare un altro esempio, è diventato ormai da quasi due anni il primo mercato della tedesca Bmw, altro brand considerato dagli automobilisti (soprattutto i fan della trazione posteriore e dei marchi classici ma sportivi) una casa costruttrice al 100 per cento premium.
Il nuovo logo di Fiat e Chrysler presentato mercoledì 29 gennaio 2014 a Torino.
Ora persino secondo il quotidiano economico tedesco Handelsblatt, «l'idea di Marchionne di produrre in Italia soprattutto auto di fascia superiore - Alfa Romeo, Maserati e Ferrari - va nella giusta direzione. Perché realizzare prodotti a basso costo nel nostro Paese non ha praticamente futuro. «È una realtà dura da accettare, ma è vero, è così», sostengono gli esperti tedeschi. In pratica, però, significa ribaltare la storia ultracentenaria di un'azienda come la Fiat, il cui dna industriale, soprattutto nel brand "Fiat", è indissolubilmente legata a prodotti a basso costo, intendendo con questo termine, automobili non esclusive, non per ricchi, accessibili a una vasta fascia di popolazione. E infatti, modelli come la 600 o la vecchia 500, negli anni Cinquanta si dice che hanno "motorizzato l'Italia", che hanno "messo le ruote agli italiani", perché il loro prezzo era alla portata (nell'epoca delle cambiali come in quella delle rateazioni) alla portata di tutti. E in questo, invece, si può dire che la nuova 500, gioiellino da guardare e da guidare, assolutamente cool, sia già un po' premium, perché oggi, per esempio, una 500 L Living costa più di 19.000 euro, cioè 38 milioni delle vecchie lire, certo un prezzo non popolare.
Sempre il quotidiano tedesco Handelsblatt (e c'è da notare che tutti i marchi tedeschi - Bmw, Audi, Mercedes - sono premium), nel considerare strategico e vantaggioso il puntare sull'alta gamma, giustifica i piani industriali e di marketig di Marchionne portando ad esempio il settore tessile, che ha vissuto «un mutamento drammatico: i produttori della fascia medio-bassa hanno dovuto chiudere quasi completamente perché non hanno potuto reggere la concorrenza dall'Asia. Al contrario, le grandi marche che investono in qualità e innovazione stanno facendo boom, come accade anche nell'industria del mobile». E Marchionne ha parlato chiaramente di un piano industriale che prevede di fare di Torino una sorta di "hub" del lusso, quindi con lo stesso concetto dei grandi aeroporti che smistano il traffico aereo verso le grandi rotte internazionali e intercontinentali, e cioè una sede produttiva che costruisce automobili di alta gamma, dunque premium, da vendere non tanto sul mercato interno, ma su quelli più ricchi, dove ci sono i soldi: Stati Uniti e Cina. E la salvezza dell'azienda, e della stessa città di Torino, nella visione di Marchionne passa chiaramente dal successo che avrà l'export di marchi - diventati premium - come Maserati, Jeep, Alfa Romeo. Soprattutto l'Alfa Romeo. Poco Marchionne ha chiarito sul futuro del brand Fiat, soltanto che anche questo rincorrerà la fascia premium del mass market con 500 e Panda. Poco o nulla ha detto di uno storico marchio come la Lancia, malinconicamente (pensando al lusso delle Lancia negli anni Sessanta e Settanta) destinato con la Y solo al mercato domestico. E pensare che la Lancia dominava i rally negli anni Novanta, e la Delta Integrale era incredibilmente... premium.
Operai Fiat (Reuters).
La strategia industriale complessiva dell'amministratore delegato è chiarissima: «Uscire dal mass market, dove i clienti sono pochi, i concorrenti sono tanti, i margini sono bassi e il futuro è complicato. E traghettare nella fascia premium, dove ci sono prodotti di alta qualità, concorrenza ridotta, clienti più attenti, margini più alti». E questo accade a 50 anni da quegli anni Sessanta nei quali, come ha ricordato oggi il quotidiano londinese Financial Times, la Fiat aveva 100.000 dipendenti e la produzione delle auto avvenica quasi esclusivamente nel Nord Italia. Oggi la Fiat rimane l'azienda privata di maggiori dimensioni ma dà lavoro soltanto a 18.000 persone nell'area di Torino, dei quali 5.000 sono ancora in cassa integrazione. Mentre la nuova nata Fiat Chrysler Automobiles ha adesso 158 fabbriche sparse per il mondo, e il 71 per cento dei suoi 215.000 dipendenti sono impegati fuori dall'Italia».
Il problema ora è capire se questa strategia è giusta e darà i suoi frutti. Perché spostarsi verso il mercato premium non è impossibile ma non è semplice. E non è una manovra rapida da compiere. Gli esperti di Marketing insegnano che costruirsi un'immagine, un posizionamento forte all'interno di una fascia di mercato richiede non solo inevstimenti, ma tempo, anni, a volte decenni, e una confidenza incredibile con il cosnsumatore finale. La Bmw o l'Audi sono percepiti come automobili premium non da ieri. Hanno stratificato questa immagine in più di 50 anni di storia automobilistica. E non c'entrano tanto le corse, i successi leggendari nelle gare (per l'Audi, per esempio, gli anni 80 rallyistici, sono stati determinanti), perché la Maserati o l'Alfa Romeo, quanto a pista e corse, lasciano tutti nella polvere. Anzi. Ma ciò che rende un'automobile premium è soprattutto la percezione di quella particolare casa costruttrice come un'azienda che fa prodotti di qualità straordinaria, con materiali di maggiore valore, capacità di assemblaggio superiore, fornitori di eccellenza, servizio sulla rete impeccabile. Il cliente, allora, è disponibile a pagare questo "premium price" in più perché è SICURO di trovare tutto questo. Compra a occhi chiusi. Per questo si fida di tradizionali auto premium come Bmw o Audi. O dei nuovi modelli premium come Infiniti, o Lexus.
Uno dei nuovi modelli Alfa Romeo.
Non c'è alcun dubbio, come ha detto Marchionne, che Alfa Romeo è «per
definizione un marchio premium». Alfa Romeo significa emozione, ruote
incollate all'asfalto, design, motore, cavalli, accelerazione,
creatività, storia del costume (chi può dimenticare il Duetto di Dustin
Hoffman nel film "Il Laureato" del 1967, con la Spider 1600 vera star
della pellicola in tutto il mondo?). Ma Alfa Romeo significa anche
l'abbandono, sempre sbandierato (e in parte è vero) come maggiore
sicurezza attiva, della trazione posteriore in favore di quella
anteriore. Significa l'adozione, con alcuni correttivi in termini di
prestazioni, degli stessi motori adottati sulle Fiat. Quanto sarà ancora possibile per
chi in tutti questi anni ha sempre comprato tedesco compiere un atto
di fiducia per credere nella "nuova Alfa Romeo premium" di Marchionne? Come sarà possibile un mutamento di Dna così deciso e marcato? E
quanto ci vorrà per rendere concreto questo passaggio, in termini di percezione reale di qualità, assemblaggio, dinamicità, esclusività, sensazione tattile della robustezza? In altre parole:
si lasceranno convincere, e in quanti mesi-anni, i clienti premium di tutto
il mondo che la Fiat di Marchionne è davvero premium quando si pagano
30-40-50 mila euro e si sale a bordo?