In inglese, lingua che riesce a trovare le più efficaci terminologie, quando si parla di persone senza figli si usano due diverse parole: childless o childfree. Nel primo caso ci si riferisce a una mancanza e riguarda coloro che hanno subìto la privazione della maternità. Nel secondo caso free fa riferimento alla libera scelta di non mettere al mondo un figlio. In italiano non esiste una parola per indicare queste diverse situazioni.
Una sorta di pudore avvolge ancora la questione. Le domande che a volte scappano, “ma quando farai un bambino?”, “perché non hai avuto figli?”, sono sentite come una violazione dell’intimità. Spesso si fa fatica anche soltanto ad affrontare il tema direttamente con le donne (perché alla fine è soprattutto di loro che si parla), le nostre amiche, vicine, colleghe, conoscenti, che hanno superato i 40 anni ma che ancora non sono diventate madri. E la biologia dice che difficilmente lo diverranno...
Si tratta, dal punto di vista statistico, di un quadro non facile da descrivere e in continua trasformazione, come ci fa notare il professor Gian Carlo Blangiardo del dipartimento di Statistica dell’Università Milano-Bicocca: «Alla domanda riguardante l’idea di avere un primo figlio, 20-30 anni fa rispondeva positivamente l’80-85% delle donne nate intorno agli anni ’50. Dieci anni dopo, tra le nate intorno agli anni ’60, coloro che pensavano di diventare madri sono diventate poco meno del 70%. Nell’arco di una generazione il desiderio di maternità è diminuito di circa 10 punti percentuali e, in statistica, non è poco....».
Che questa tendenza sia in crescita, in Italia come all’estero, lo dicono i dati. È interessante capire, tuttavia, al di là dei numeri, cosa ci sia dietro una scelta sotto molti aspetti radicale e, soprattutto, irreversibile.
Maria Letizia Tanturri, ricercatrice, esperta in demografia presso l’Università di Padova, si è occupata del tema attraverso interessanti e approfondite indagini da cui è emersa una realtà omogenea, per quanto riguarda l’identikit delle donne che hanno detto “no” alla maternità, e variegata, invece, in merito alle motivazioni: «Le donne che non hanno avuto figli (tutte nate negli anni ’60) , intervistate per le mie ricerche, sono, rispetto alla media più istruite, meno religiose e hanno sempre lavorato. Spesso sono figlie uniche, o al massimo hanno un fratello, sono legate a un compagno anche lui con una famiglia poco numerosa. Potrebbe, questo dato, essere indizio del fatto che la propensione a diventare genitori è meno frequente in chi è vissuto in un ambiente familiare con pochi bambini».
Tra le childfree si possono individuare due tipologie: quelle che si trovano in questa situazione dopo una lunga serie di rinvii e quelle che hanno rifiutato fin da subito la maternità. «Il primo caso è molto diffuso», spiega Maria Letizia Tanturri, «ed è legato al mito dell’eterna fecondità. Molte donne, più che non volere figli, rinviano questo momento perché sono convinte che prima di diventare madri si debba ottenere un certo livello di sicurezza (economica, lavorativa, affettiva e personale). Così passa il tempo. Ma si tratta di una trappola. Spesso anche quando si è conquistata, con molta fatica, questa stabilità, si teme che il figlio possa rompere l’equilibrio e si finisce per non decidere più». Ma se pensiamo invece alle donne che dichiarano senza ombra di dubbio di non volere figli, in tal caso, come spiega la dottoressa Tanturri, le motivazioni appaiono diverse e variegate:
«Alcune sono legate ai “costi”, non tanto in termini di denaro, quanto in termini di sacrifici personali: i figli vengono visti come impegni, che portano via tempo, che costringono a rinunciare alla carriera o ad altri aspetti importanti della propria vita». Non si teme solo la fatica e la rinuncia, ma anche l’idea di affrontare il cambio di un equilibrio, più o meno stabile. «E in questo caso troviamo molte motivazioni legate all’assetto della propria vita di coppia.
Le donne intervistate parlano di legami troppo deboli per poter pensare di avere un figlio, oppure vedono l’arrivo di un bambino non come il coronamento di un amore ma piuttosto come una minaccia, come un elemento disgregatore e addirittura come una possibile causa della fine di un idillio, temendo persino l’eventuale gelosia del partner che potrebbe sentirsi messo in disparte». C’è poi chi esprime un senso di paura verso l’esperienza della maternità. «Oltre ai “classici” timori connessi alla gravidanza e al parto», continua Maria Letizia Tanturri, «vi sono quelli meno scontati e più sottili: la paura di non riuscire a badare al figlio e a dargli ciò di cui ha bisogno. Forse tale “senso di inadeguatezza” deriva dal fatto che le donne si sentono sempre meno preparate al ruolo di madri, anche perché in una società dove i bambini sono “rari”, è sempre più difficile avere qualche esperienza diretta di cura. Per altre donne, ha un forte peso la paura di non essere buone educatrici e di scelte sbagliate che facciano soffrire i figli, provocando conseguenze negative nel loro sviluppo». Infine, non si può dimenticare quanto possa pesare in questi casi il giudizio degli altri: «C’è chi lamenta il fatto di sentirsi in obbligo di dare spiegazioni e di rispondere a domande che considera indiscrete». Le domande che arrivano, per lo più, da persone anziane, da genitori o suoceri: «La disapprovazione, rispetto al passato, è molto meno sentita, anche se alcune donne hanno dichiarato di percepirla ancora, ma più nascosta».