Papa Francesco, dopo lo Sri Lanka, atterrerà nel nuovo gigante asiatico, le Filippine del boom economico e della povertà più diffusa, città che sono praticamente simili a un grande slum, contrappuntato da grattacieli e istituzioni finanziarie per pochi ricchi. Le Filippine crescono più di Pechino, ma hanno un numero di lavoratori bambini spaventosamente alto, rispetto alla popolazione.
E’ un Paese di quasi cento milioni di abitanti, in gran parte giovani, con stipendi e affitti più concorrenziali della Cina, ma con una manodopera di alto livello, grazie a buone scuole e università, che parla universalmente inglese. Anche i consumi sono altissimi, l’economia cresce di quasi sette punti e neppure il tifone Yolanda del novembre 2013 ha messo in crisi la corsa dell’economia. Molto si deve al massiccio afflusso di rimesse dall'estero, che l’anno scorso sono arrivate a oltre venti miliardi di dollari, inviate alle famiglie da circa 10 milioni di filippini emigrati in altri Paesi. In Italia i filippini sono almeno 200 mila.
Di fronte a questi numeri la Chiesa denuncia grandi disparità sociali e il rischio che i più deboli paghino una crescita che non porta ad una più equa distribuzione delle risorse. Le Filippine sono il terzo Paese del mondo per numero assoluto di cattolici dopo Brasile e Messico e prima degli Stati Uniti. La Chiesa ha una grande influenza, anche politica. Ha contrastato duramente una legge pro-aborto e insiste molto sui problemi della famiglia, ma non riesce a disinnescare politiche economiche che la mettono in crisi. E’ il caso dell’immigrazione che sposta migliaia e migliaia di madri all’estero.
Sono tutti ragionamenti che sicuramente Bergoglio riprenderà nei propri discorsi a Manila, anche se il viaggio è stato organizzato con lo scopo principale di recarsi nella regione di Tocoblan, la più colpita dal tifone del novembre 2013 e dove si è riversata la solidarietà cattolica internazionale. Tuttavia la visita accade in un momento importante per il Paese, che è ormai diventata la tigre dell’Asia. Presidente è Benigno Aquino III, figlio di Corazon Aquino, anche lei presidente storico del Paese e cattolicissima, che salì al potere dopo il dittatore Marcos sull’onda dell’emozione dell’omicidio del senatore Aquino, suo marito, ucciso all’aeroporto di Manila appena rientrato dall’esilio cui lo aveva costretto il regime. La Chiesa allora giocò un ruolo importante attraverso il cardinale Sin, il vero oppositore politico di Marcos, appoggiando la rivoluzione popolare non violenta nel 1986.
La chiamarono rivoluzione dei rosari, che Sin ripropose nel 2001 quando chiamò la popolazione in piazza per chiedere la fine del governo corrotto di Joseph Estrada. Sin, che per la sua capacità di guidare la gente e di indirizzare il consenso si guadagnò il nome di “divino comandante in capo”, morì nel 2005 a 77 anni e la malattia gli impedì di partecipare al Conclave che elette Benedetto XVI. Il presidente di allora Gloria Arroyo alla sua morte disse: “E’ morto un grande liberatore del popolo filippino e un campione di Dio”. Di origine cinese, nominato cardinale da Paolo VI Sin nel 1986 radunò un milione di persone con il rosario in mano per formare barricate umane sulla strada principale di Manila e proteggere una squadra di 300 militari ribelli dai carri armati fedeli al dittatore Ferdinand Marcos. Quella protesta mise fine alla dittatura. Da allora nessuno nelle Filippine, né in politica, né nella Chiesa ha avuto tanta popolarità. Il Papa troverà sicuramente un Paese più pacificato rispetto ai precedenti viaggi di Paolo VI e di Giovanni Paolo II. Ma con enormi problemi sociali e una povertà che non diminuisce.