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mercoledì 22 gennaio 2025
 
LA SENTENZA
 

Filippo Turetta, ergastolo in primo grado, è davvero fine pena mai?

03/12/2024  «Abbiamo perso tutti come società», è stato il commento a caldo di Gino Cecchettin, padre di Giulia, «nessuno mi ridarà indietro Giulia, non sono né più sollevato, né più triste rispetto a ieri»

Si è concluso con la condanna all’ergastolo con interdizione perpetua dai pubblici uffici, il processo di primo grado a Filippo Turetta, 22 anni, per l’omicidio della fidanzata Giulia Cecchettin (2001-2023). La corte d’Assise di Venezia ha riconosciuto le aggravanti, necessarie per pronunciare una condanna all’ergastolo,  della premeditazione, dell’occultamento di cadavere, non quelle della crudeltà e degli atti persecutori, che non avrebbero comunque cambiato  la sostanza della pena effettivamente applicata e che corrisponde a quanto chiesto dal pubblico ministero, di cui la Corte ha evidentemente accolto le conclusioni.

Mentre la difesa aveva puntato chiedendo l’esclusione di tutte le aggravanti e il riconoscimento delle attenuanti generiche al minimo della pena, laddove il Codice stabilisce per l’omicidio volontario semplice una sanzione non inferiore nel minimo ai 21 anni, che però le aggravanti possono far salire fino all’ergastolo, definito dal difensore nel corso dell’arringa: «pena disumana e degradante».

A questo proposito va ricordato che per effetto delle riforme del 1962 e del 1986, l’ergastolo ha perso in Italia il connotato effettivo della pena perpetua previsto dal Codice Rocco del 1930, da tempo infatti, anche il cosiddetto fine pena mai contempla attualmente la possibilità di accesso alla semilibertà a partire dai 20 anni scontati e la liberazione condizionale a partire dai 26, il tutto nell’ottica di non tradire la necessità di tendere alla rieducazione del condannato e le caratteristiche della pena previste dall’articolo 27 della Costituzione. Nella stessa logica la legge consente anche al condannato all’ergastolo un avvicinamento progressivo alla risocializzazione tramite benefici come permessi e lavoro esterno, «in relazione», per dirla con Emilio Dolcini, tra i più insigni penalisti, «ai progressi compiuti in un percorso rieducativo intrapreso durante l’esecuzione della pena». Anche l’ergastolo ostativo (applicabile a crimini violenti in contesti di criminalità organizzata, terrorismo e pochi altri casi in assenza di collaborazione), che comunque non riguarda il caso di Turetta, ha di recente mitigato per interventi legislativi e della Corte costituzionale la rigidità degli automatismi che impedivano l’accesso a ogni forma di beneficio senza valutazione caso per caso.

«Abbiamo perso tutti come società», è stato il commento a caldo di Gino Cecchettin, padre di Giulia, «nessuno mi ridarà indietro Giulia, non sono né più sollevato, né più triste rispetto a ieri. È chiaro che è stata fatta giustizia, ma dovremmo fare di più come esseri umani. Oggi siamo qui per un percorso legale, non è questa la sede per onorare Giulia».

E a chi gli chiedeva se in aula si sarebbe atteso le scuse dell'imputato, ha replicato asciutto, secondo quanto riferito dalle agenzie: «Non mi aspettavo le scuse, non mi aspetto scuse, il mio percorso è un altro. Io ho perso tutto, quindi andrò avanti con il mio percorso. Oggi era una tappa dovuta per rispettare quelle leggi che ci siamo dati come società civile. Questa tappa è stata raggiunta e adesso si va avanti cercando di non ritrovarci ancora qui con un altro papà, altri giornalisti e con un'altra Giulia. Penso che la violenza di genere non si combatta con le pene, ma con la prevenzione. Come essere umano mi sento sconfitto, come papà non è cambiato nulla». Le motivazioni della sentenza daranno conto del percorso seguito dai giudici entro 90 giorni.

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