Allo scollinare su settembre, i numeri di Expo parlano di 3,3 milioni di accessi ad agosto, il mese più affollato, e di 12,2 milioni in totale. Li hanno calcolati gli organizzatori, con termine ultimo il 31 agosto. I numeri forniti - fanno sapere - «sono calcolati a partire dal numero di accessi registrati dai sistemi di lettura digitale alle entrate, cui vengono sottratti gli accrediti e viene poi aggiunto un 4% per tener conto degli ingressi non registrati per cause tecniche ed operative». Lo dicono in risposta alle critiche di chi ventila il rischio che nei calcoli dell’affluenza siano conteggiati anche gli expolavoratori. Nell’ultima uscita pubblica sui numeri Sala ha anche precisato che i conti veri, quelli definitivi, si faranno nel corso di settembre: «perché i distributori devono ritirare tutti i biglietti».
Per la misura statistica del successo, quella dei numeri e dei confronti, e del bilancio costi-benefici, c’è dunque tempo. Altro è ficcanasare tra la gente, condividendo la fila, ascoltando le chiacchiere nell’attesa. Se l’ultimo fine settimana d’agosto è stato da record, anche il 1° settembre, martedì in teoria lavorativo, si fanno file: un'ora e 20-30 per il Giappone, 45 minuti – stimati molto ottimisticamente dalla volontaria di turno - per l’Italia. Molti, calcolati a occhio dalla coda, i minuti per gli Emirati Arabi, perché, a due mesi dalla fine, il passaparola ha sortito l’effetto di accodare tutti ai padiglioni per cui si dice valga la pena.
Ma il consiglio è di ficcare il naso qua e là anche dove le file non ci sono: si colgono meglio le sperequazioni del mondo, la distanza tra Paesi ricchi e Paesi poveri, con l’avvertenza di non dimenticare che si tratta di un mondo ipersemplificato – a volte un po’ kitsch, molto pop, - sempre filtrato dal desiderio di mostrare di sé il profilo migliore. Val la pena di lasciarsi trasportare dalla curiosità più che dai consigli e dalla popolarità. Si finisce per scoprire che la Polonia, dove la coda non c’è, è una gradita sorpresa di verde e profumo di mele e cioccolata. E che il Marocco svela, all’interno, una poesia che supera l’appariscentissimo Oman.
Con la rara eccezione dell’italiano in Nepal che fa il furbetto e scavalca forse contando sulla proverbiale pazienza che dovrebbe promanare dal tempio buddista, sono tutte file ordinate, scelte, e dunque accettate con rassegnazione. Chi non se la sente di affrontare un padiglione sovraffollato semplicemente passa oltre. Magari per tornare a un’ora che pare meno congestionata: “ Oggi è andata bene. Però se avessi fatto la fila di stamattina, per poi vedere la Cina dentro così, ci sarei rimasta male”.
Capita che le attese – morali e materiali – vengano deluse. Ma il più delle volte la sensazione è che prevalga il piacere di esserci, la voglia di sfruttare il più possibile il biglietto, non proprio economicissimo, l’ebbrezza di sentirsi, seppure in piccolo, una volta nella vita il mondo intero a portata di una lunga passeggiata. Una coppia arrivata con il serale da 5 euro in perlustrazione, fa i conti per tornare di giorno con le figlie: “Tra biglietti, treno e metropolitana non costa poco, forse in quattro è meglio venire in auto, ma poi il parcheggio sarà troppo caro?”.
Chi arriva con un pargolo in passeggino ha corsia preferenziale, qualcuno rimpiange di non aver portato il proprio: bagni sempre puliti e fasciatoi in abbondanza facilitano a tutti la giornata. Più difficile è ricaricare, come promesso, i cellulari: le chiavi degli sportellini sono quasi tutte sparite. I bambini più grandicelli fanno la fila con papà e mamma e, a dispetto della fatica – si fanno chilometri a piedi tempo di sera –, sono motivati come al parco giochi. Al padiglione Italia, di là da venire, perché la coda è un serpentone con molte spire, due sorelline, a occhio sette-dieci anni, in giro dal mattino, alle 17 inoltrate, implorano papà e mamma di non andare “subito a casa” ma di proseguire il giro per un altro paio di padiglioni prima di prendere il treno: “Dai così finiamo il passaporto”. Vogliono completare tutte le pagine del libretto blu che finge un passaporto: ogni padiglione visitato un timbro: un giro del mondo a portata di scarpe comode.
L’impressione che si ricava è che in una giornata - in cui comunque si può vedere molto - ci sia il tempo di un mordi e fuggi: scroccare un biscotto al caramello in Belgio, desistere dall’acquisto di un set da tè in Corea scoraggiati dal prezzo che può arrivare a 702 euro, assaggiare un asado argentino, gettonatissimo piatto del giorno abbondante a e abbordabile. C’è poco tempo, forse, per fermarsi a riflettere sul tema, spesso spiegato come in Corea del Sud con suggestioni intriganti di tradizioni millenarie o reso palpabile dal vento del deserto riprodotto dai ventilatori in Marocco. Tanti, i meno lontani, si ripropongono di tornare una sera, ora che apre alle 18,00, per recuperare un padiglione perso, per capire meglio. O anche solo per assaggiare il piatto esotico di un Paese che forse non vedranno mai.