Leggo che i Presidenti di Camera e Senato ed i Partiti stanno studiando come stabilire un controllo sui contributi elettorali dati ai Partiti partecipanti alle elezioni, anche a quelli che non hanno una rappresentanza nei Parlamenti Europei, Nazionali e degli Enti locali, alcuni dei quali risultano finanche sciolti.
Mi sembra che sia stata posta l’attenzione essenzialmente alla trasparenza della spesa di tali rimborsi ma non sembra che paritetica attenzione sia stata posta sull’entità di tali rimborsi.
Negli ultimi 10 anni con sistematici interventi tali contributi si sono moltiplicati tanto che la spesa per le elezioni risulta oggi di gran lunga inferiore all’entità dei fondi attribuiti ai Partiti, tutti sono stati accontentati.
Per il controllo della spesa non dovrebbero esserci problemi essendo chiaramente materia della Corte dei Conti, e questo dovrebbe valere per ogni bilancio dove direttamente o indirettamente vengono utilizzati i soldi dei cittadini, Partiti, Sindacati, Enti, Associazioni ecc…
La questione da discutere in Parlamento è l’entità dei contributi che certamente non dovrebbero essere superiori alle spese effettivamente sostenute per le elezioni. Oggi poi, che siamo in profonda crisi, la questione dell’equità e della priorità nella spesa diviene ancor più doverosa e pressante. Non sono un esperto giurista ma mi chiedo se sia possibile non corrispondere i fondi del previsto rimborso ai Partiti per le passate elezioni che risultano eccedenti la spesa effettiva sostenuta dagli stessi. Se ci fosse questa possibilità avremmo trovato una possibile soluzione ad uno dei problemi che oggi affligge il Governo ovvero il pagamento delle pensioni ai cosiddetti “esodati” il cui numero sembra sia di molto superiore alle previsioni.
Roberto Jucci
Le tabelle pubblicate alla fine del 2009 dal Collegio di controllo sulle spese elettorali della Corte dei Conti fanno venire i brividi. Vediamo qualche esempio. Per le politiche dell'aprile 2008 i partiti hanno spesso circa 110 milioni di euro ma ne hanno incassati dallo Stato 503. La differenza ammonta alla cifra astronomica di 392.966.623,71 euro. In percentuale, il 456% in più. Insomma, un affare.
Tanto che la magistratura contabile a pagina 179 della relazione scrive chiaramente: «Quello che viene normativamente definito contributo per il rimborso delle spese elettorali è, in realtà, un vero finanziamento». Tutto questo mentre nei quattro anni dalla crisi, ossia a partire dal 2008, la Banca d'Italia ha stimato una diminuzione del reddito delle famiglie del 6% e di quello degli individui del 7,5.
Scorrendo i dati della Corte dei Conti, dal 1994 a oggi è un crescendo rossiniano. Per le politiche del marzo 1994 i partiti spendono 36 milioni 264 mila euro e ne ricevono quasi 47. Alle europee del giugno successivo, la spesa è di 15 milioni e mezzo ma i rimborsi arrivano a 23 milioni e mezzo di euro. Alle regionali del 23 aprile 1995, i partiti spendono “soltanto” 7 milioni di euro ma ne ricevono la bellezza di 29 milioni 772 mila. Alle politiche del 13 maggio 2001 si tocca il record: a fronte di 49 milioni 659 mila euro spesi, nelle casse della politica arrivano 476 milioni 445 mila euro. Vale a dire: 426 milioni 785 mila euro in più. Cioè, il 959%.
La conclusione della Corte è chiara: «Dei 2.253.612.233 euro di rimborsi elettorali», scrivono i giudici, «i partiti hanno in realtà speso, per le campagne elettorali dal 1994 al 2008, circa un quarto. Ma la differenza si è accentuata con l’aumentare degli importi del rimborso. Le ultime elezioni, quelle 2008, sono costate ai partiti 110 milioni di euro di campagne elettorali, ma allo Stato sono costate cinque volte di più in rimborsi».
Da notare, inoltre, che a fronte di uno Stato generosissimo, i partiti di tornata in tornata aumentano le spese sostenute. Come mai, ad esempio, per le regionali del 23 aprile 1995 la politica spende 7 milioni di euro che diventano 28 milioni 673 mila per quelle del 2000 e quasi 62 milioni per quelle del 2005?
Antonio Sanfrancesco
In queste cifre, va precisato, non sono calcolati gli altri benefit. Ossia, i fondi destinati ai giornali di partito: 851 milioni di euro dal 1990 al 2009 e quelli ai gruppi parlamentari di Camera e Senato: 1 miliardo e mezzo di euro dal 1994 al 2010.
Ricapitolando: in totale, dal 1974 (anno in cui fu promulgata la legge che istituiva il finanziamento pubblico) ad oggi, nelle casse dei partiti sono arrivati 5,9 miliardi di euro.
E se tutti questi soldi vengono spesi male o per fini privati, come dimostrano gli ultimi due scandali, quello della Lega e della Margherita? La magistratura non può fare nulla perché i partiti politici sono associazioni private e quello che fanno al loro interno è affare soltanto loro. Anche se i soldi sono pubblici.
In Gran Bretagna i partiti che ricevono finanziamenti pubblici (10 milioni di sterline nel 2010, pari a circa 12 milioni di euro) sono solo quelli che perdono le elezioni e vanno all'opposizione, e sono quindi più svantaggiati nel raccogliere contributi da lobby o gruppi industriali.
In Germania invece, con buona pace del diritto alla privacy, tutte le fondazioni sono tenute alla massima trasparenza. E in Italia? I “pensatoi”, a destra come a sinistra, non sono «obbligati a tenere una contabilità ufficiale delle erogazioni». Poco incoraggiante se consideriamo l'allarme lanciato dalla Corte dei Conti che ha spiegato che la corruzione, dal 2009 al 2010, è aumentata del 229%.
In Francia, il finanziamento pubblico dei partiti vale il 35,8% dei loro bilanci. In Italia, oltre il 90.
Ancora: al contribuente americano i partiti costano 12 centesimi; a quello francese 1,25 euro; a quello tedesco 1,60; a quello spagnolo 2,58; a quello italiano 5,70.
A. Sanfra.
Nel corso degli anni, con una serie di leggi ed emendamenti approvati con l'accordo di tutti, è stato ritoccato più volte il meccanismo dei rimborsi. Dalle 1.600 lire del 1994 (pari a 82 centesimi di euro per ogni cittadino) si è passati ai 5 euro attuali: un aumento del 609%.
Per ricevere il rimborso, inoltre, occorre superare la quota dell’1% dei suffragi alla Camera (per il Senato la ripartizione è su base regionale), molto inferiore rispetto alla soglia di sbarramento per entrare in Parlamento.
La percentuale di rimborso, inoltre, non si calcola sul numero effettivo dei voti ricevuti da ciascun partito, ma sul numero di cittadini iscritti nelle sezioni elettorali. Non solo, il parametro di riferimento è l'elettorato più numeroso, che è quello per il rinnovo della Camera dei deputati (gli elettori del Senato, dove non votano gli under 25, sono di meno).
In sostanza, ci sono partitini e liste civetta che a Montecitorio o Palazzo Madama o nei consigli regionali magari non eleggono nessuno dei loro candidati ma in compenso i quattrini se li pigliano lo stesso. È il caso, ad esempio, della lista civetta Verdi Verdi (presentatasi in Piemonte alle regionali del 2010 con il centrodestra per soffiare voti ai Verdi “veri” di sinistra) che incassa circa 44 mila euro all'anno, del Partito dei Pensionati (885 mila euro) e dell'Alleanza di Centro di Pionati più la Democrazia Cristiana (550 mila euro).
La legge n. 273 del 2005, in vigore fino al luglio 2011 quando è stata abolita con la legge di stabilità finanziaria, stabiliva che anche in caso di scioglimento delle Camere ed elezioni anticipate i partiti continuassero a ricevere contributi, erogati a rate ogni anno alla fine di luglio. Un escamotage che spiega, forse, l'irresistibile vocazione, specie dei piccoli partiti, a far cadere continuamente i governi: se in dieci anni, invece delle due legislature regolari (5+5) se ne svolgono quattro, i quattrini raddoppiano. Per tutti.
A.Sanfra.
I partiti, si dice giustamente, sono indispensabili per il funzionamento della democrazia. È vero. Ma chi controlla che il fiume di denaro che ricevono dallo Stato venga effettivamente impiegato per l'attività politica e non per comprarsi un attico in centro a Roma o pagare la manutenzione dell'auto del figlio del leader? La risposta è: nessuno. Vediamo perché.
I soli che possono chiedere conto ai partiti su come spendono i soldi sono i membri di un Collegio, quello dei Revisori della Camera, nominato dall'ufficio di Presidenza di Montecitorio. I cinque tributaristi, però, nella relazione inviata alla presidenza scrivono molto chiaramente che «il Collegio limita la propria indagine al rispetto formale degli obblighi previsti dalla legge». In sostanza, il controllo «non si estende alla verifica della corrispondenza tra i fatti gestionali rilevati nei documenti con l'effettiva situazione fattuale, né tanto meno, al riscontro di eventuali omissioni di carattere sostanziale nelle rilevazioni contabili, ritenendo tali indagini non rientranti nella competenza di questo Collegio».
In pratica, non possono chiedere nessun rendiconto (scontrini, fatture, nota spese...) che dimostri come e per quale fine sono stati spesi i soldi. E così, sotto la voce “propaganda elettorale” o “restauro sede nazionale” può entrare di tutto.
Uno dei cinque revisori (rimasto anonimo) del Collegio chiamato a controllare i partiti così ha spiegato a Paolo Bracalini, autore del libro Partiti Spa: «Molto spesso noi riceviamo dei bilanci sui quali è apposta una firma, quella dell’amministratore del partito, ma non possiamo verificare che ci sia stata effettivamente un’assemblea di approvazione, chi vi ha partecipato, se il bilancio è stato esaminato o meno. Chi redige il bilancio se la canta e se la suona».
Neanche la Corte dei Conti può mettere becco perché i partiti politici sono assimilati alle associazioni di privati cittadini come i condomini o le bocciofile.
A.Sanfra.
Ma gli italiani, nel 1993, dopo lo scandalo di Tangentopoli non avevano detto no al finanziamento pubblico ai partiti? Sì, essendo però il referendum abrogativo, spiegano i costituzionalisti, venne abolita la normativa precedente e si creò un vuoto. Subito riempito dal Parlamento che otto mesi dopo il referendum, a dicembre, con la Legge 515 aggiorna la normativa precedente e istituisce il “contributo per le spese elettorali”.
Le nuove regole vengono applicate per le elezioni politiche del 27 marzo 1994 e per l'intera legislatura ai partiti arrivano 47 milioni di euro, erogati in un'unica soluzione. La politica, insomma, si riprende con gli interessi quello che momentaneamente aveva perso.
Nel 1999 con la Legge 157 viene reintrodotto a tutti gli effetti il finanziamento pubblico bocciato dagli italiani. Il rimborso elettorale previsto non ha infatti attinenza diretta con le spese effettivamente sostenute per le campagne elettorali.
La legge 157 prevede cinque fondi: per le elezioni alla Camera, al Senato, al Parlamento Europeo, per le Regionali e i referendum, erogati in rate annuali, per 193.713.000 euro in caso di legislatura politica completa (l’erogazione viene interrotta in caso di fine anticipata della legislatura). La legge entra in vigore con le elezioni politiche del 2001.
Nel 2002, la Legge 156 trasforma in annuale il fondo e abbassa dal 4 all’1% il quorum per ottenere il rimborso elettorale. L’ammontare da erogare, per Camera e Senato, nel caso di legislatura completa passa da 193.713.000 euro a 468.853.675 euro.
Elezioni |
Contributi statali |
Spese riconosciute |
Differenza tra contributi erogati e spese |
Differenza in percentuale |
Politiche 1994 |
46.917.449,32 |
36.264.124,34 |
10.653.324,98 |
129,38 |
Europee 1994 |
23.458.724,66 |
15.595.788,66 |
7.862.936,00 |
150,42 |
Regionali 1995 |
29.722.776,08 |
7.073.555,52 |
22.649.220,56 |
420,2 |
Politiche 1996 |
46.917.449,32 |
19.812.285,84 |
27.105.163,48 |
236,81 |
Europee 1999 |
86.520.102,57 |
39.745.844,39 |
46.774.258,18 |
217,68 |
Regionali 2000 |
85.844.344,63 |
28.673.945,87 |
57.210.398,76 |
299,52 |
Politiche 2001 |
476.445.235,88 |
49.659.354,92 |
426.785.880,96 |
959,43 |
Europee 2004 |
246.625.344,75 |
87.243.219,52 |
159.382.125,23 |
282,69 |
Regionali 2005 |
208.380.680,00 |
61.933.854,85 |
146.446.825,15 |
336,46 |
Politiche 2006 |
499.645.745,68 |
122.874.652,73 |
376.771.092,95 |
406,63 |
Politiche 2008 |
503.094.380,90 |
110.127.757,19 |
392.966.623,71 |
456,83 |
Totale |
2.253.612.223,79 |
579.004.383,83 |
1.674.607.849,96 |
389,22 |