Si chiude Firenze e si aprono le diocesi. Dal V Convegno
ecclesiale – che non abbiamo «celebrato, ma vissuto», sottolinea il cardinale Angelo Bagnasco – la Chiesa
italiana riparte. Per «mettersi in gioco, in un impegno di conversione
finalizzato a individuare le parole più efficaci, le categorie più consone e i
gesti più autentici attraverso i quali portare il Vangelo nel nostro tempo agli
uomini di oggi», dice ancora il presidente della Cei sintetizzando i lavori dei
2500 delegati giunti nel capoluogo toscano da tutte le 226 diocesi italiane.
Cinque vie, duecento
tavoli da dieci a discutere e confrontarsi, decie e decine di interventi e
proposte concrete, un metodo – quello
sinodale – che i delegati hanno sperimentato e che porteranno a casa per praticarlo nelle proprie realtà locali. Da Firenze
la Chiesa riprende il largo, come ha auspicato il Papa nel suo intervento di martedì.
Un discorso «programmatico», lo ha definito il cardinale Bagnasco, «con
il quale ci ha chiesto autenticità e gratuità, spirito di servizio, attenzione
ai poveri, capacità di dialogo e di accoglienza; ci ha esortati a prendere il
largo con coraggio e a innovare con creatività, nella compagnia di tutti coloro
che sono animati da buona volontà».
E ancora ha aggiunto:
«Il testo del Santo Padre andrà meditato con attenzione, quale premessa per riprendere,
su suo invito, l’Esortazione apostolica Evangelii
Gaudium nelle nostre comunità e nei gruppi di fedeli, fino a trarre da essa
criteri pratici con cui attuarne le disposizioni».
Criteri pratici che i
delegati hanno abbozzato nei loro gruppi e che passano dal «rinnovamento della
liturgia dalla quale passa il rinnovamento della Chiesa», alla «revisione del
sistema educativo della Chiesa», al «fare un falò dei nostri divani» per
imparare a uscire, al «coltivare le relazioni» e «ripensare la politica in
chiave comunitaria», all’essere capaci ancora «di prendere in mano la Parola di
Dio e spezzarla per gli altri».
Il presidente della
Cei ha ricordato, dal canto suo che «dobbiamo anzitutto uscire, andare. Non basta essere accoglienti: dobbiamo per primi
muoverci verso l’altro, perché il prossimo da amare non è colui che ci chiede
aiuto, ma colui del quale ci siamo fatti prossimi». E ancora essere in grado di «annunciare la persona e le parole del Signore, secondo le modalità
più adatte perché, senza l’annuncio esplicito, l’incontro e la testimonianza
rimangono sterili o quantomeno incompleti. Per portare efficacemente la Parola
– l’abbiamo appena sentito – bisogna esserne uditori attenti, fino a restarne
trasformati».
Sulla terza via, l’abitare, il cardinale ha ricordato con
questo termine «ci richiamiamo a una presenza dei
credenti sul territorio e nella società, secondo un impegno concreto di
cittadinanza, in base alle possibilità di ognuno: nell’impegno amministrativo e
politico in senso stretto, ma anche attraverso un attivo interessamento per le
varie problematiche sociali e la partecipazione a diverse iniziative. Abitare
significa essere radicati nel territorio, conoscendone le esigenze, aderendo a
iniziative a favore del bene comune, mettendo in pratica la carità, che
completa l’annuncio e senza la quale esso può rimanere parola vuota».
Ma c’è bisogno che «la
comunità e i credenti» siano in grado di rispondere al «compito di educare per rendere gli atti buoni non
un elemento sporadico, ma virtù, abitudini della persona, modi di agire e di
pensare stabili, patrimonio in cui la persona si riconosce».
Per arrivare a «trasfigurare le persone e le relazioni,
interpersonali e sociali. Il messaggio evangelico, se accolto e fatto proprio
dalle diverse realtà umane, trasfigura, scardinando le strutture di peccato e
di oppressione, facendo sì che l’umanesimo appreso da Cristo diventi concreto e
vita delle persone, fino a raggiungere ogni luogo dell’umano, rendendoci
compagni di viaggio e amici dei poveri e dei sofferenti».
La
Chiesa italiana ascolta il Papa, si interroga e cerca di concretizzare il suo
messaggio. L’evangelii gaudium, come ha chiesto Francesco, e il materiale del
Convegno saranno approfonditi in ciascuna diocesi. L’entusiasmo c’è e la voglia
di lavorare e di impegnarsi pure. C'è quell'«abbraccio caloroso» che il cardinale
Bagnasco accoglie come incoraggiamento e sostegno. Un abbraccio che, conclude
il presidente della Cei, «si dilata, quasi a raggiungere e stringere la persona
del Successore di Pietro: Francesco è il suo nome. A lui, la Chiesa italiana
vuole riaffermare affettuosa vicinanza e operosa dedizione, rispondendo alla
particolare attenzione, alla visibile stima, al paterno affetto con cui guida
il nostro cammino. Sì, che l’eco dei nostri cuori giunga fino al suo cuore di
universale Pastore, e confermi – a Lui che conferma noi con il carisma di
Pietro – ciò che i figli, con linguaggio semplice e diretto, dicono ai loro più
cari: “Le vogliamo bene!”».