Con una sentenza assolutamente inedita, inopportuna e pericolosa il tribunale dei minori di Firenze ha riconosciuto l'adozione di due bambini, avvenuta all'estero, da parte di una coppia gay. È la prima volta che accade in Italia e potrebbe segnare l’apertura, di fatto e al di là della legge, alla possibilità per le coppie omosessuali di adottare bambini.
I giudici fiorentini, infatti, hanno disposto la trascrizione anche in Italia dei provvedimenti della Corte del Regno Unito che ha riconosciuto l’adozione della coppia riconoscendo ai fratellini (uno di 8 anni e l’altro di 7) lo status di figli e la cittadinanza italiana. Non si tratta, nel caso specifico, della cosiddetta stepchild adoption (in inglese, “l’adozione del figliastro”), che è la possibilità che il genitore non biologico adotti il figlio, naturale o adottivo, del partner. In Italia la stepchild è già prevista per le coppie eterosessuali sposate da almeno tre anni o che abbiano vissuto more uxorio per almeno tre anni ma siano sposate al momento della richiesta. Questo invece è un caso di adozione legittimante a tutti gli effetti, in cui i due figli che non avevano alcun legame biologico con nessuno dei due genitori diventano a pieno titolo figli della coppia. Per i giudici che hanno scritto la sentenza «si tratta di una vera e propria famiglia e di un rapporto di filiazione in piena regola che come tale va pienamente tutelato».
Anche perché, si legge ancora, «la nuova formulazione dell' articolo 74 cc sulla parentela, dopo aver nella prima parte specificato che la parentela è vincolo tra le persone che provengono da uno stesso stipite, aggiunge, “sia nel caso che la filiazione è avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso il figlio è adottivo”». «I ricorrenti», si legge tra l'altro nel decreto di riconoscimento della sentenza di adozione straniera, hanno prodotto ampia documentazione da cui ricavare che «effettivamente il riconoscimento di tale sentenza (quella pronunciata nel Regno Unito, ndr) è assolutamente aderente all'interesse dei minori che vivono in una famiglia stabile, hanno relazioni parentali e amicali assolutamente positive, svolgono tutte le attività proprie della loro età».
La sentenza di adozione è stata pronunciata dalla Corte britannica nel 2014. Il Tribunale ha accolto integralmente le richieste dell’avvocata Susanna Lollini di Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford che rappresentava i due padri, in particolare quella di trascrivere le adozioni straniere in base all’articolo 36 comma 4 della legge n. 184/83. È la parte della norma sulle adozioni che prevede sia valida anche in Italia un’adozione avvenuta in Paese straniero da parte di cittadini italiani che dimostrino di avervi soggiornato continuativamente e di avervi la residenza da almeno due anni, purché essa sia “conforme ai principi della Convezione dell’Aja” del 29 maggio 1993.
Il mancato riconoscimento in Italia avrebbe creato "incertezza giuridica" per i minori
Nella sentenza infatti i giudici fiorentini hanno chiarito che la Convenzione non pone limiti allo status dei genitori adottivi, quindi non esclude di per sé le coppie gay né i single, ma richiede unicamente di verificare se i futuri genitori adottivi siano qualificati e idonei all’adozione (esame che in questo caso è stato effettuato dalle autorità inglesi) e che la trascrizione non sia manifestamente contraria all’ordine pubblico.
Basandosi sulla sentenza della Cassazione n. 19599 del 2016 che ha permesso di trascrivere in Italia l’atto di nascita di un bambino nato da due donne in Spagna, i magistrati hanno inoltre rilevato che la contrarietà all’ordine pubblico «non è enucleabile esclusivamente sulla base dell’assetto ordinamentale interno, ma è da intendersi come complesso di principi ricavabili dalla nostra Costituzione e dai Trattati Internazionali cui l’Italia ha aderito».
Il Tribunale ha anche ribadito l’«interesse superiore del minore» a conservare lo status di figlio, riconosciutogli da un atto valido in un altro Paese dell’Unione Europea (preceduto da una lunga, complessa e approfondita procedura di verifica), e che il mancato riconoscimento in Italia del rapporto di filiazione esistente nel Regno Unito, determinerebbe una «incertezza giuridica» che pregiudicherebbe l’identità personale dei minori.