Lo chiamano “accaparramento delle terre”, in inglese land grabbing. È un fenomeno che investe tutto il pianeta. Ed è devastante: si traduce in una vera e propria spoliazione dei terreni fertili delle piccole realtà contadine, depauperando un’agricoltura che darebbe da mangiare a milioni di persone nei Paesi poveri e che invece le grandi multinazionali destinano alla produzione intensiva per i Paesi ricchi, oppure alla produzione petrolifera o, ancora, all’estrazione di materie prime preziose.
Un fenomeno su cui Focsiv, la rete del volontariato di matrice cristiana, insieme a Coldiretti ha voluto per la prima volta attirare l’attenzione con un approfondito rapporto, intitolato “I padroni della Terra”, diffuso in occasione del lancio della campagna “Abbiamo riso per una cosa seria”.
Lo studio indica chi siano i reali proprietari delle terre coltivabili e chi ne abbia il controllo, ma al tempo stesso è una denuncia su quanto sta accadendo in ogni parte del mondo: la “rapina” della terra avrà gravi conseguenze che ricadranno su tutti per generazioni. Non solo. “I padroni della Terra” analizza le ripercussioni in termini di conflitti, espulsioni, migrazioni, scomparsa delle biodiversità.
«Il nostro è un grande movimento », spiega Gianfranco Cattai, presidente di Focsiv, «rappresentato dai milioni di chicchi di riso offerti dai nostri volontari i primi giorni di maggio, che ribadisce come nessuno di noi sia disposto a delegare alcuno per ciò che ci riguarda più da vicino: il liberarci dalla schiavitù dei prezzi imposti dalle multinazionali dell’agroalimentare, dal fenomeno del caporalato, dai cambiamenti climatici e dalle cause che portano all’emigrazione di milioni di persone. Molti terreni stanno passando nelle mani di chi governa l’agrobusiness mondiale e ciò mette a repentaglio sia la sopravvivenza di chi lavora, sia la qualità dei prodotti agricoli, sia la sostenibilità di chi, come i tanti contadini anche italiani, cerca di coltivare cibo sano e di qualità. Noi pensiamo che solo con l’agricoltura familiare si può dare una risposta alla fame, al bisogno di lavoro e allo sviluppo umano secondo una visione più equa e più giusta di democrazia alimentare e di ecologia integrale. Da qui nasce il nostro bisogno di voler monitorare con un rapporto annuale quale sia la situazione in ogni parte del mondo per quanto riguarda la nostra casa comune: la Terra».
I segni dell’allarme ci sono: dopo quasi un decennio in cui la fame nel mondo era in diminuzione, ora è nuovamente in aumento. Lo dice l’Onu: sono circa 815 milioni le persone coinvolte nella mancanza di cibo, circa l’11% della popolazione mondiale. “Lo Stato della sicurezza alimentare nel mondo” indica che i 38 milioni di affamati in più registrati nel solo scorso anno sono dovuti, nella gran parte dei casi, alla proliferazione dei conflitti violenti e alle conseguenze dei cambiamenti climatici.
«In Italia», aggiunge Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti, «questo è un sistema vincente, costruito sull’attenzione alle persone, che trova le radici nella storia agricola italiana, consentendo a molti di lavorare nelle campagne, privilegiando le culture locali, salvaguardando le biodiversità e i territori senza cedere alle grandi produzioni indifferenziate lontane dal nostro Paese».
Occorre, però, qualche dato dello studio per capire la dimensione del fenomeno: i contratti conclusi, di acquisto o affitto, di terra nel mondo sono 2.231 per oltre 68 milioni di ettari. A questi vanno aggiunti altri 209 contratti in corso di negoziazione (ulteriori 20 milioni di ettari). Equivalgono a 8 volte uno Stato grande come il Portogallo, quasi 3 volte l’Ecuador. I primi 10 Paesi investitori sono gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, l’Olanda, nazioni emergenti come la Cina, l’India e il Brasile, ma anche gli Emirati Arabi, la Malesia, Singapore e il minuscolo Liechtenstein. E, ovviamente, i Paesi più “saccheggiati” sono quelli con le popolazioni più povere – come la R.D. Congo, il Sud Sudan o la Liberia – ma più ricchi di materie prime o terreni fertili.
E l’Italia? Ha investito su 1 milione e 100 mila ettari con 30 contratti in 13 Stati, la maggior parte dei contratti delle imprese italiane sono distribuiti in Paesi poveri africani.