Guardiamo con un misto di orrore, pietà e indignazione le foto della testa mozzata di James Foley, il reporter americano colpevole di voler raccontare storie, pubblicata da un quotidiano italiano che pensa di essere il più brillante di tutti, magari di aver fatto uno scoop, e pensiamo che non si tratta di giornalismo-verità, e nemmeno di diritto all’informazione o di ribellione di fronte alle pretese di censura. Pensiamo solo che in quel caso i terroristi dell’Isis hanno vinto, che lo “scarafaggio nero” John, il boia della clip con accento di East London, con il suo coltello tagliagola, ha ottenuto quel che voleva: terrorizzare il mondo. Il terrorismo moderno è tutto in quel filmato dell’orrore: omicidi medievali, barbarie sanguinaria e mezzi di comunicazione che fanno da leva e sollevano il mondo: colori, sfondo, luce, inquadratura, montaggio, audio, titoli in sovrimpressione, tutto perfetto, come una videoclip di un gingle. La canzone dell’orrore.
Ha ragione Beppe Severgnini quando scrive sul “Corriere della sera”: perché aiutare i carnefici? Gli abbiamo già fornito la tecnologia, vogliamo diventare i loro portavoce? Dobbiamo invece fare quel che disse 30 anni fa Marshall Mcluhan, il massmediologo che intervistato sul dilemma se pubblicare o no i volantini delle Brigate Rosse, spiegò pacatamente: “staccate la spina”. Libertà di stampa e di comunicazione non significa diventare strumento del terrore propagandato dall'Isis. E infatti pare che la lezione di McLuhan, il padre della massmediologia, sia stata recepita: i social network hanno cancellato il video, la stragrande maggioranza dei quotidiani ha pubblicato a titolo di testimonianza solo la scena meno cruenta seppure agghiacciante, accogliendo tra l'altro l'appello dei genitori del reporter: quella della vittima che dignitosamente, stringendo i denti, offriva il collo al suo carnefice. I social networks, da Facebook a Youtube, lo hanno fatto sparire nell’oblio, così pure i grandi network televisivi. E’ una responsabilità enorme ma è un miracolo che sia avvenuto ed è già una prima risposta all’offesa dello scarafaggio nero: rimarrà l’orrore, ma non prevarrà il terrore.