Fondazioni, associazioni, cooperative, appalti e subappalti. Che nell’intreccio di queste reltà, troppe volte finite negli atti delle inchieste sulla corruzione, ci sia qualcosa da rivedere è un fatto. Non a caso ne parla, in termini assai espliciti, Raffaele Cantone nel suo ultimo libro, un interessante, trasversale e divulgativo spaccato sul tema della corruzione, intitolato Il male italiano, scritto con Gianluca Di Feo, uscito qualche settimana fa e prima che venissero al centro del dibattito gli scandali del momento proprio su questa materia, da Grandi opere al nuovo caso Di Gregorio, passando per altre vicende, che non sono reati, ma hanno rilevanza pubblica in materia di scarsa trasparenza del finanziamento alla politica.
A proposito del finanziamento pubblico ai partiti abrogato nel 2012 Cantone scrive: «Nella fretta di abbattere un monumento allo spreco (diventato intollerabile per l’opinione pubblica ndr) si è aperta una prateria senza steccati».
È quella in cui attualmente pascolano le fondazioni, attraverso cui passano,- senza controllo ripete spesso Cantone -, denari che finanziano campagne elettorali: «Nei Paesi anglosassoni», spiega il presidente dell’Autorità anticorruzione dialogando con De Feo, «il finanziamento è privato, ma la rendicontazione è pubblica: la trasparenza dei contributi assoluta». In Italia invece: “Non c’è chiarezza nelle operazioni dei partiti ma soprattutto c’è buio assoluto su questi soggetti che li hanno di fatto sostituiti: le fondazioni”.
Cantone non fa giri di parole, spiega chiaramente che la normativa in materia è inadeguata e invoca una virata in direzione della trasparenza: “Non solo sulle entrate ma anche sulle uscite. Una fondazione che si occupa soprattutto di politica dev’essere una casa di cristallo. (…) Secondo il codice civile le fondazioni sarebbero pensate per gestire entità piccole, una biblioteca, un circolo, e per questo hanno criteri di contabilità banali: non era previsto che avrebbero disposto di fondi ingenti. Bisogna avere il coraggio di intervenire».
L’analisi spietata di Cantone non risparmia neppure la distorsione delle coop,
pur ammettendo il bisogno di salvaguardare la parte sana: “Le
cooperative dovrebbero tutelare i lavoratori, fare impresa nel segno del
bene comune, ma finiscono troppo spesso per agire come normali aziende
inseguendo solo il guadagno e accettando biechi compromessi. Alcune
delle grandi coop sono coinvolte da anni nelle inchieste di mafia e di
corruzione eppure il loro uomini di punta restano saldi al vertice. Per
fortuna ci sono ancora lodevoli eccezioni e non va dimenticato che
alcune di queste realtà portano avanti senza troppi clamori missioni
sane». Cantone cita le cooperative che diffondono i prodotti di Libera,
combattendo la mafia e dando lavoro ai giovani, invitando a non buttare
il bambino con l’acqua sporca.
Ma chiede da tempo una seria riflessione sul meccanismo di appalti e subappalti, lo ripete quasi a ogni incontro pubblico: per
tutte le imprese infatti il compromesso è in agguato quando si tratta
di farsi concorrenza – sleale – per vincere appalti al massimo ribasso.
Da una parte si rischia che si paghi la mazzetta per vincere e che poi
si cerchi di rientrare delle spese, facendo lievitare i costi a suon di
varianti (proprio l’Anac nei giorni scorsi ha denunciato il raddoppio dei costi della pedemontana), dall’altra
parte si rischia che a vincere l’appalto sia il concorrente più
disonesto, capace di praticare ribassi al di sotto del prezzo di mercato
compatibili solo con l’irregolarità quando non con l’infiltrazione
della criminalità organizzata, ma impraticabili per chi voglia
rispettare le regole.
La soluzione ovviamente non è magica, Cantone, cui qualcuno vorrebbe
dare anche il mantello di Superman, è il primo a sapere, e lo ripete
quasi a ogni incontro pubblico, che non esiste il sistema perfetto,
molto dipende dei comportamenti: «Ma un codice degli appalti ben
fatto, che dia un drastico taglio alle deroghe, strutture commissariali,
interventi ad hoc aiuterebbe molto il contrasto alla corruzione».