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lunedì 17 marzo 2025
 
La signora della commedia
 

Addio a Franca Valeri, l'ultima intervista a Fc: «Dio? È un mistero troppo complicato»

09/08/2020  Aveva compiuto 100 anni il 31 luglio e si era raccontata così: «Quando approvarono le leggi razziali vidi mio padre piangere sul giornale. La comicità deve contenere sempre un sottofondo di crudeltà altrimenti è dilettantismo». E dopo, cosa ci sarà? «Una domanda molto difficile»

L’estate dei cento anni Franca Valeri non la sta trascorrendo nella villa di Trevignano Romano, sul lago di Bracciano, suo buen retiro estivo per quasi mezzo secolo: «Non le va di andarci, si stanca facilmente, anche se è la dimora che ama di più», spiega la figlia adottiva Stefania Bonfadelli che è diventata il suo tramite con il mondo, che le tiene compagnia, la fa parlare, riannodare i fili di una vita e una carriera lunghissime. La giuria del David di Donatello ha voluto omaggiarla con una statuetta alla carriera, che ha ricevuto nella sua casa di Roma, dove vive ascoltando musica lirica, carezzando il cagnolino Aroldo (dall’omonima opera di Verdi), detto Roro, che tiene sul grembo, mentre la gatta Cocò, più impertinente, a volte sfugge alle coccole: «Ama moltissimo gli animali e le sono di grande conforto», dice Stefania.

Non guarda la Tv e non legge perché ormai ci vede poco. Le notizie della pandemia arrivano filtrate, quasi attutite, e le parole non sgorgano più come una volta. Qualche giorno fa stava ascoltando Il Trovatore di Verdi, il suo compositore preferito e che vorrebbe applaudire di nuovo dal vivo se solo potesse tornare a teatro, alla Scala magari, che ha frequentato fin da giovinetta diventando amica di grandi cantanti come Maria Callas. La signorina Snob, più aristocratica, la sora Cecioni, popolana arguta, Cesira la manicure, alle prese con gli uomini e i malintesi del corteggiamento. Con i suoi personaggi, Franca Valeri ha fatto ridere e riflettere l’Italia. Arrivata al secolo di vita, confessa di non avere rimpianti e neanche fissazioni. Qualche desiderio, però, ancora sì: «Quello di recitare ancora», dice. E pensare che suo papà, Luigi Norsa, ingegnere alla Breda, non voleva che lei facesse l’attrice perché, racconta, «aveva paura di un mio fallimento». Mise anche il veto sull’utilizzo del cognome di famiglia. Franca Valeri (in omaggio al poeta francese Paul Valéry), infatti, è il nome d’arte di Franca Maria Norsa, nata a Milano il 31 luglio 1920 e vissuta in via della Spiga, nel Quadrilatero della moda, prima di emigrare a Roma dopo la guerra per frequentare l’Accademia d’arte drammatica, dove, ironia del caso, fu bocciata all’esame di ammissione. Mentì ai genitori e disse loro, con la complicità di una parente che la ospitava nella Capitale, che era stata presa. Dopo i primi successi, però, il padre diventò un suo grande sostenitore. Forse la signorina Snob è uno dei suoi personaggi più amati. Lo snobismo è ancora una caratteristica delle sciure milanesi? «Sì, certo, c’era e ci sarà sempre», risponde, «anch’io sono snob ma non le dico in che cosa».

(Franca Valeri con Luciana Littizzetto sul palco del teatro Ariston per il Festival di Sanremo del 2014 - Ansa)

L’infanzia felice a Milano s’interrompe in un giorno preciso: il 5 settembre 1938 quando il regime fascista di Benito Mussolini vara le leggi razziali: «Mi ricordo benissimo quel giorno orrendo.Vidi mio padre piangere sul giornale che riportava la notizia di quelle leggi indegne», racconta Valeri che è di origine ebraica proprio per parte di padre: «Un’identità alla quale sono legatissima anche se non sono praticante». Al collo ha una piccola stella di David che Stefania le ha portato da Gerusalemme e che da dieci anni non toglie più. Il padre di Franca e il fratello Giulio fuggirono in Svizzera con i gioielli di famiglia cuciti nel cappotto per venderli e poter sopravvivere. Lei restò a Milano con la madre, cattolica. Il padre pensava che in questo modo non avrebbe corso troppi rischi. Per passare il tempo leggeva la Recherche di Proust: «Senza la guerra forse non sarei mai riuscita a finirla», rivela. Per qualche mese, con una carta d’identità che riporta il cognome della madre, Pernetta, vive in una casa di via Mozart dove piovono bombe e trovano rifugio altre persone come lei.

Il 1945, con la fine della guerra, la coglie nel fiore degli anni: «Il 25 aprile», dice, «è stato il giorno più bello della mia vita perché era la fine di un incubo e ho capito che da quel giorno sarebbe iniziata la mia giovinezza». E una carriera che la vedrà protagonista delle migliori avventure di questo mezzo secolo italiano: il grande teatro degli anni Cinquanta e Sessanta con mostri sacri come Strehler, Testori e poi De Lullo. La nascita del varietà televisivo con Antonello Falqui. La commedia all’italiana con il cinema di Dino Risi e Alberto Sordi. A unire tutte queste esperienze, la sua ironia a volte abrasiva e politicamente scorretta: «La comicità deve contenere sempre un sottofondo di crudeltà altrimenti è dilettantismo», spiega, «credo che i miei personaggi siano veri. Hanno conservato negli anni una loro verità».

Alberto Sordi è stato uno dei suoi grandi amici, insieme hanno fatto ben sette film, tra cui Piccola posta (1955), Il segno di Venere (1955), Il vedovo (1959). Che ricordo ha? «Un comico straordinario e un compagno di scena perfetto», risponde, «ora rivedendo quei film li trovo belli, all'epoca i miei amici intellettuali e un po’ snob mi sconsigliavano di farli perché li trovavano non dico degradanti ma un po' di serie B. Adesso sono dei film di riferimento, come cambiano le cose…». E il grande Totò? «Con lui parlavamo molto di cani sul set del film Totò a colori del 1952», ricorda, «anche lui era un fuoriclasse della comicità».

Franca Valeri non sente suo questo secolo iniziato vent’anni fa: «Lo trovo molto noioso, per tanti motivi. Prima non mi sono mai annoiata». Per chi porta sulle spalle una così lunga vita la memoria è una risorsa preziosa: «Lo è sempre, soprattutto alla mia età perché ti permette di stare attaccata alla vita». E il mistero del dopo, di Dio? Franca Valeri non risponde: «Sono domande troppo complicate». Un po’ come se fosse ancora sul palcoscenico.

(Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, consegna l'onorificenza di Cavaliere di Gran Croce a Franca Valeri in occasione della Festa della Donna del 2011 - Ansa)

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