La sfida. La parola è risuonata più volte sotto le arcate del Duomo di Milano, in occasione dell’incontro con i sacerdoti e i consacrati. Fuori, una folla di fedeli attendeva in un silenzio, assistendo all’incontro attraverso un grande schermo davanti alla facciata, in attesa di vedere il Santo Padre percorrere il sagrato e recitare l’Angelus.
Quello ambrosiano è un clero inquieto, che non si nasconde di fronte alle difficoltà. La domanda di don Gabriele rivolta a Francesco conteneva tutte le difficoltà di questo cambio di epoca, molto più di un’epoca di cambiamenti, come ha ricordato l’arcivescovo Angelo Scola, che riportava le parole del pontefice a Firenze. Il cardinale aveva appena riaffermato il senso della missione del clero ambrosiano: “L’uscire verso le nostre sorelle e i nostrio fratelli uomini, privilegiando gli ultimi, diventa espressione di quella misericordia che ristora e dà pace. Gesù, il volto della misericordia, ci strappa dalla nostra miseria”.
Ma ci sono profonde difficoltà e il clero ambrosiano non le nasconde. Don Gabriele chiede della difficoltà di evangelizzare in una società sempre più secolarizzata e papa Francesco ripete ancora una volta con quella parola: sfida. “Ogni epoca storica”, dice seduto come a un convegno a un tavolo situato davanti all’altare, nell’atmosfera gotica e grandiosa della cattedrale affollata di suore, sacerdoti, religiosi e fedeli, “fin dai primi tempi del cristianesimo è stata continuamente sottoposta a molteplici sfide. Perciò non dobbiamo temere le sfide ed è bene che ci siano. Sono segno di una fede viva, di una comunità viva che cerca il suo Signore e tiene gli occhi e il cuore aperti. Dobbiamo piuttosto temere una fede senza sfide, una fede che si ritiene completa, come se tutto fosse stato detto e realizzato”.
Una sfida, aggiunge, che va presa come si tiene un toro per le corna (e qui Francesco va a mimare una scena forse viste tante volte nella sua terra argentina, con il “gaucho” che afferra per le corna l’animale).
Poi il dialogo cade sulle sfide della società multietnica di cui Milano è una delle capitali europee, di quel meticciato tante volte ricordato dal cardinale Scola. E qui il papa sottolinea l’importanza di quell’unità fatta di differenze che è l’anima di una chiesa e di una comunità viva. Al diacono permanente Roberto Crespi il pontefice ricorda la sua missione e il suo carisma al servizio della Chiesa. “Il diacono è per così dire il custode del servizio nelal Chiesa. Il servizio alla Parola, il servizio all’altare, il servizio ai poveri".
La testimonianza forse più commovente è di suor Paganoni, che ricorda il carisma delle Marcelline (da Santa Marcellina, sorella di Ambrogio, la vita consacrata è sempre stata presenza viva e significativa in questa Chiesa). Suor Paola fa una domanda semplice e complessa, in cui si legge tutta la difficoltà della scristianizzazione e della crisi delle vocazioni: “Come essere segni di profezia e custodi dello stupore nella società liquida per testimoniare una vita povera, vergine, obbediente e fraterna all’uomo di oggi? Quali periferie esistenziali e quali ambiti scegliere con le nostre poche forze, consapevoli di essere nel nostro tempo una minoranza.
Francesco invita a non rassegnarsi. “Pochi sì, in minoranza sì, anziani sì, rassegnati no!”. Francesco fa appello a un passato glorioso, ma ricorda che “la maggioranza dei nostri padri e madri fondatori non pensarono mai a essere una moltitudine, o una gran maggioranza. I nostri fondatori si sentirono mossi dallo Spirito Santo in un momento concreto della storia ad essere presenza gioisa del Vangelo per i fratelli: a rinnovare e a edificare la Chiesa come lievito nella massa, come sale e luce del mondo”.
E a proposito di lievito, Francesco ricorda che la vocazione dei religiosi di tutte le congregazioni non è quella di “occupare spazi” ma di “avviare processi”. Un compito, a ben vedere, non molto diverso da quello di padre e madre coi propri figli. Fa l’esempio del lievito e della farina. Se il lievito è preponderante rispetto alla farine il pane non viene. Solo così la Chiesa ambrosiana potrà ritronare alla gioia dell’evangelizzazione.
Quando si affaccia sul sagrato Francesco ritrova la folla festante che lo attendeva stipata nella piazza. Scherza sulle condizioni meteorologiche (“avevano previsto la pioggia e invece guardate che bel sole”), recita l’angelus e e apre le braccia come in un largo abbraccio a quella folla venuta da tutta la Lombardia per vedere Francesco. Ma è già tempo di risalire sulla papa-mobile per dirigersi verso il penitenziario di San Vittore, in questa visita breve e intensa come una scossa. Una scossa per far ripartire la chiesa ambrosiana.