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sabato 22 marzo 2025
 
Dichiarazione congiunta
 

Francesco e Karekin, impegno comune per i cristiani perseguitati

26/06/2016  Un ecumenismo del sangue e un impegno reciproco per dare segni di unità in un mondo dove i cristiani sono perseguitati e dove crescono povertà e sfruttamento. E' questo il senso della dichiarazione congiunta firmata dal papa e dal catholicos di tutti gli armeni, Karekin II. E Francesco si conferma anche in questo viaggio un instancabile cercatore di dialogo e comunione. Obiettivo non solo l'unità dei cristiani, ma l'impegno comune per risanare un mondo che mette ai margini fette sempre più larghe di uomini, donne e bambini.

Un ecumenismo del sangue e un comune impegno per dare segni di unità in un mondo dove i cristiani sono perseguitati in molte parti del mondo e dove cresce povertà e sfruttamento. La dichiarazione congiunta firmata da papa Francesco e dal catholicos di tutti gli armeni Karekin II rimanda alle parole usate anche nella dichiarazione congiunta firmata il 30 novembre 2014 a Istanbul con il patriarca Bartolomeo. Francesco si conferma anche in questo viaggio un instancabile cercatore di dialogo e comunione. Cammina in fretta, senza aspettare i teologici, con quell'ecumenismo di popolo che sta sperimentando in tanti Paesi. Obiettivo non solo l'unità dei cristiani, ma l'impegno comune per risanare un mondo che mette ai margini fette sempre più larghe di uomini, donne e bambini. Prima di lasciare l'Armenia - e contrariamente a quanto annunciato all'inizio del viaggio quando una firma congiunta sembrava lontana - la dichiarazione è arrivata alle quattro del pomeriggio (due ore italiane), dopo due notti che Francesco ha trascorso ospite di Karekin. Nella Santa Etchmiadzin, centro spirituale di tutti gli Armeni, il Papa e il Catholicos hanno scritto di voler dare«una comune testimonianza al messaggio del Vangelo in un mondo lacerato da conflitti e desideroso di conforto e speranza».

Guardando all'Ararat, al di là della frontiera, luogo verso il quale vengono lanciate le colombe dal monatsero di Khor Virap,  la dichiarazione ricorda che il monte dove si posò l'arca di Noè «si erge come a ricordarci che Dio sarà sempre la nostra protezione e salvezza».

I due ricordano i 1700 anni del "battesimo" dell'Armenia e, con le parole di Giovanni Paolo II, la commemorazione dello scorso anno dei 100 anni dallo «sterminio di un milione e mezzo di Cristiani Armeni, che generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo».

Una memoria che serve per guardare avanti e per impegnarsi per «costruire un mondo di solidarietà, di giustizia e di pace. Tuttavia, siamo purtroppo testimoni di un’immensa tragedia che avviene davanti ai nostri occhi: di innumerevoli persone innocenti uccise, deportate o costrette a un doloroso e incerto esilio da continui conflitti a base etnica, politica e religiosa nel Medio Oriente e in altre parti del mondo».

Si parla delle persecuzioni, dei «martiri che appartengono a tutte le Chiese e la loro sofferenza costituisce un "ecumenismo del sangue" che trascende le divisioni storiche tra cristiani, chiamando tutti noi a promuovere l’unità visibile dei discepoli di Cristo». E si prega per «un cambiamento del cuore in tutti quelli che commettono tali crimini e in coloro che sono in condizione di fermare la violenza. Imploriamo i capi delle nazioni di ascoltare la richiesta di milioni di esseri umani, che attendono con ansia pace e giustizia nel mondo, che chiedono il rispetto dei diritti loro attribuiti da Dio, che hanno urgente bisogno di pane, non di armi».

La dichiarazione chiede di non strumentalizzare le religioni «per giustificare la diffusione dell’odio, della discriminazione e della violenza. La giustificazione di tali crimini sulla base di idee religiose è inaccettabile, perché "Dio non è un Dio di disordine, ma di pace". Proprio perché siamo cristiani, siamo chiamati a cercare e sviluppare vie di riconciliazione e di pace. A questo proposito esprimiamo anche la nostra speranza per una soluzione pacifica delle questioni riguardanti il Nagorno-Karabakh».

I due capi religiosi non si fermano alle dichiarazioni di principio, ma chiedono solidarietà e accoglienza, chiedono che alle «Chiese di aprire i loro cuori e le loro mani alle vittime della guerra e del terrorismo, ai rifugiati e alle loro famiglie. E’ in gioco il senso stesso della nostra umanità, della nostra solidarietà, compassione e generosità, che può essere espresso in modo appropriato solamente mediante un immediato e pratico impiego di risorse. Riconosciamo che tutto ciò è già stato fatto, ma ribadiamo che molto di più si richiede da parte dei responsabili politici e della comunità internazionale al fine di assicurare il diritto di tutti a vivere in pace e sicurezza, per sostenere lo stato di diritto, per proteggere le minoranze religiose ed etniche, per combattere il traffico e il contrabbando di esseri umani».

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