La sofferta defenestrazione del cardinale Angelo Becciu è solo l’ultimo capitolo di un più vasto movimento che ha portato dapprima all’elezione dell’arcivescovo di Buenos Aires e, poi, alla riforma delle finanze vaticane che papa Francesco ha avviato una prima volta, e, dopo alcuni malfunzionamenti emersi nel tempo, ripreso e accelerato negli ultimi mesi.
Bisogna riavvolgere il nastro sino alla vigilia del Conclave che elesse Jorge Mario Bergoglio, nel marzo del 2013: pedofilia, documenti del pontefice trafugati e pubblicati (Vatileaks), scandali finanziari a ripetizione (le indagini sullo Ior, lo scontro con Banca d’Italia e procura di Roma, gli immobili di Propaganda Fide dati in affitti sospetti, l’opacità dell’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica, le malversazioni nella sanità cattolica, i guai dei salesiani…) avevano marcato gli ultimi anni del pontificato di Benedetto XVI. L’epocale e coraggiosa rinuncia del pontefice tedesco fece da detonatore. I cardinali giunti a Roma da tutto il mondo imposero alle discussioni che precedettero il Conclave un’agenda riformatrice: bisognava eleggere un Papa estraneo alla Curia romana, che rilanciasse il ruolo della Chiesa cattolica nel mondo, e restituisse credibilità al Vaticano, a costo di far cadere qualche testa.
L’arcivescovo di Buenos Aires era l’uomo perfetto, ma il compito era immane. Con intelligenza, evitò la trappola di rinchiudere il pontificato in una lotta agli scandali, e rilanciò. Forte di un carisma non comune, e di una non comune visione strategica, Francesco mise mano alla riforma della macchina curiale, ma squadernò un’agenda – spirituale, politica, culturale – ben più ampia, dal tema delle migrazioni a quello dell’ecologia, dai sinodi al ruolo dei laici, dalla svolta sulla pastorale famigliare a quella sulla pena di morte. Gli scandali, tuttavia, lo hanno rincorso. Di nuovo i Vatileaks, di nuovo casi di pedofilia, di nuovo problemi con i soldi.
Un primo tentativo di riformare le finanze vaticane è naufragato. Papa Francesco lo aveva affidato al cardinale George Pell, che fin dai giorni successivi al conclave aveva rivendicato di aver convogliato un drappello di cardinali conservatori sul nome di Bergoglio con la certezza che l’argentino avrebbe appoggiato una riforma del settore. Il Vaticano, disse, deve diventare «modello di management finanziario anziché occasionale causa di scandali», e se c’erano pochi italiani in ruolo di vertice, pazienza, «non siamo il Vicariato di Roma, ma la Chiesa universale». Il prefetto della Segreteria per l’Economia usò metodi spicci, pretese un lussuoso ufficio dove insediarsi nella sede dello Ior, il torrione Niccolò V, addossato al Palazzo Apostolico, pianificò una centralizzazione degli investimenti – una Sicav, acronimo di Società d'investimento a capitale variabile, con sede a Lussemburgo e i tratti di una investment bank molto lontana dalla concezione economica del Papa – straripò, si fece molti avversari, soprattutto tra gli italiani.
Poi, come è noto, venne travolto dagli scandali. Alla fine è tornato in Australia per rispondere in tribunale alle accuse di abusi sessuali su minori. Condannato, incarcerato per 400 giorni, poi scagionato dall’Alta corte australiana e completamente riabilitato, ora torna a Roma, per “rassettare” l’appartamento in Vaticano lasciato all’epoca del processo, ma intanto si è congratulato con il Papa per la caduta del cardinale Becciu. «Se Pell è ancora convinto che io sia disonesto non ci posso fare niente», ha ribattuto, da parte sua, il prelato sardo che ha dato el dimissioni dalla Congregazione per la causa dei santi.
Uscito di scena il cardinale Pell, nel 2017, la situazione in Vaticano si era calmata per alcuni mesi, fino al deflagrare, l’anno scorso, di un nuovo scandalo: la compravendita a titolo di investimento di un esoso immobile di Sloane Avenue 60, a Londra. Il suo acquisto, con fondi della Segreteria di Stato, è stato deciso all’epoca in cui Becciu era Sostituto, mentre il suo successore, Edgar Pena Parra, ha tentato di finalizzare l’acquisto coinvolgendo lo Ior. La stessa «banca vaticana», sospettosa, ha denunciato l’affare alla magistratura della Santa Sede, che ha aperto un’inchiesta che ha già fatto cadere diverse teste. Un affare «opaco» (copyright del Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin) che ha accertato casi di «corruzione» (parola del Papa sul volo di ritorno da Giappone e Thailandia). Ma che ha altresì mostrato come il Vaticano abbia, negli anni, sviluppato gli anticorpi: anziché partire da una denuncia esterna, da un’inchiesta della magistratura italiana, da una richiesta di rogatoria, infatti, in questo caso le denunce sono venute dall’interno. Per usare l’immagine del Papa: «E’ la prima volta che in Vaticano la pentola viene scoperchiata da dentro, non da fuori».
Fatto sta che nella pentola, per proseguire con la metafora, il cibo è ancora scadente. E’ la fine del 2019. Jorge Mario Bergoglio si convince che è necessario riprendere il filo della riforma, e accelera. In pochi mesi completa l’organigramma dei suoi collaboratori nell’ambito amministrativo, giudiziario e finanziario. Nomina Giuseppe Pignatone, ex procuratore capo di Roma, presidente del Tribunale vaticano (3 ottobre), il gesuita spagnolo Juan Antonio Guerrero prefetto della Segreteria per l’Economia (14 novembre), Carmelo Barbagallo, ex Banca d’Italia, all’Authority finanziaria (27 novembre), nonché, l’8 dicembre, il cardinale filippino Luis Antonio Tagle alla guida della potente Congregazione per la Evangelizzazione dei popoli.
Nomi che tornano, ancorché sottotraccia, in questi giorni. E’ la magistratura vaticana guidata da Pignatone che, con l’ausilio della Guardia di finanza italiana, svolge le indagini sui movimenti finanziari di Becciu. Quanto a padre Guerrero, è lui l’architetto del nuovo codice degli appalti che il Papa firma la scorsa primavera. Un testo di legge che combatte «le frodi, il clientelismo e la corruzione e per prevenire, individuare e risolvere in modo efficace i conflitti di interesse insorti nello svolgimento delle procedure in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la trasparenza e la parità di trattamento». Barbagallo è impegnato in prima linea nella periodica visita che Moneyval, l’organismo del Consiglio d’europa responsabile per il contrasto al riciclaggio di denaro sporco e il finanziamento del terrorismo internazionale, farà a partire da domani, 30 settembre, per due settimane, in Vaticano: «E’ cruciale arrivare preparati, far emergere i molteplici progressi compiuti nel sistema dei controlli e le premesse oggi poste per un loro stabile consolidamento», ha detto di recente.
Un programma di ampio respiro che non si ferma alle iniziative giudiziarie, né al pur prezioso codice degli appalti. Innanzitutto – è notizia di una settimana fa – il prefetto della Segreteria per l'Economia e Alessandro Cassinis Righini, revisore generale ad interim, hanno firmato un protocollo di intesa in materia di lotta alla corruzione: «Le due Autorità della Santa Sede – afferma il recente comunicato – collaboreranno in maniera ancora più stretta nella identificazione dei rischi di corruzione e per una efficace attuazione delle norme sulla trasparenza, il controllo e la concorrenza dei contratti pubblici della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano recentemente approvate». Inoltre «considerata – come si leggeva in una nota della scorsa estate – la necessità di garantire una più razionale organizzazione dell'informazione economica e finanziaria della Santa Sede e di informatizzare i modelli e le procedure sottostanti, così da garantire la semplificazione delle attività e l'efficacia dei controlli, in quanto fondamentali per il corretto funzionamento degli Organismi della Curia Romana», il Centro Elaborazione Dati (Ced) è stato trasferito dall'Amministrazione del patrimonio della sede apostolica (Apsa), guidata da monsignor Nunzio Galantino, alla Segreteria per l'Economia.
All’Apsa (acronimo di Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica), d’altro canto, dovrebbero confluire tutta la liquidità. Un’esigenza sollecitata già nei mesi scorsi da padre Guerrero, prefetto della Segreteria per l’Economia, insieme al cardinale Reinhard Marx, presidente del Consiglio per l’Economia. Quasi ogni dicastero, infatti, detiene fondi, quando piccoli quando ingenti, che amministrati con una certa autonomia, a detrimento della trasparenza, nonché della razionalità degli investimenti. La congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, in particolare, che si cura delle Chiese in terra di missione, e la Segreteria di Stato avrebbero riserve consistenti, sottratte alla contabilità del bilancio consolidato: dall'epoca di Paolo VI (1963-1978), in particolare, la Segreteria di Stato amministrerebbe due fondi autonomi, l'Obolo di San Pietro, ossia la colletta delle offerte dei singoli fedeli in tutto il mondo che vogliono «partecipare all'azione del Papa come Pastore della Chiesa universale e a sostegno dei più bisognosi e delle comunità ecclesiali in difficoltà, che si rivolgono alla Sede Apostolica», e un secondo fondo che fu Papa Montini in persona a volere come riserva per eventuali momenti di difficoltà. La vicenda dell’immobile di Londra ha però mostrato che una tale riserva scatena appetiti, dentro e fuori il Vaticano, che è opportuno prevenire. E, dunque, niente investment bank, come prospettava Pell, ma sulla scrivania del Papa è tornato il progetto di una centralizzazione degli investimenti finanziari. L’obiettivo è una «gestione più efficiente delle risorse finanziarie», si legge in un memo interno, «l’ampliamento delle possibilità di investimento, un più agevole monitoraggio e contenimento dei rischi e l’assicurazione del rispetto di criteri etici». Il tutto realizzato con personale professionalmente specializzato, nel rispetto delle priorità e delle necessità di ogni ufficio.
Infine, è in discussione, tra gli uomini del Papa, la proposta di un ufficio centrale del personale, al fine di «assicurare flessibilità – sono sempre le parole del memo interno – nel sistema retributivo in modo tale da poter premiare le competenze e i più meritevoli e essere in grado di poter affrontare periodi di criticità come quelli correnti con strumenti adeguati. Allo stesso tempo si tratta di fornire maggiori opportunità ai dipendenti, assicurando percorsi formativi standardizzati e una mobilità di routine che permetta a ciascuno di conoscere e apprendere, nell’ambito delle proprie competenze, mansioni diverse e assumere differenti responsabilità nel tempo».