Francesco Gabbani finisce di fumare una sigaretta prima di entrare nella sede del suo ufficio stampa dove lo attendiamo. Pare un po’ nervoso, ma dopo un paio di minuti sembra che in vita sua non abbia fatto altro che parlare con i giornalisti. Eppure, appena un anno e mezzo fa, prima della vittoria a Sanremo tra le Nuove proposte, visto che la carriera non decollava, «oltre a dare una mano nel negozio di strumenti musicali di mio padre a Carrara, avevo deciso di fare l’agricoltore: coltivavo cavoli, zucchine e altre verdure di stagione e poi le rivendevo».
Sembra preistoria, perché dopo il trionfo al Festival di quest’anno con Occidentali’s karma con cui ha fatto ballare con la sua scimmia anche l’Europa (all’Eurovision è arrivato sesto, ma l’album che la contiene, Magellano, è entrato in classica in 13 Paesi e i video delle sue canzoni ricevono commenti entusiastici anche da turchi e americani), si appresta a dominare l’estate con altri tormentoni come Tra le granite e le granate. Roba da perdere la testa: «No, non capiterà. Perché sono arrivato al successo a 34 anni e non a 20. Ormai sono un uomo e so bene cosa voglio dalla vita».
Allora cerchiamo di conoscerla un po’ questa vita, a partire dal suo debutto artistico avvenuto a 8 anni. «Andavo a scuola dalle suore e avevo messo su una piccola band in cui suonavo la batteria come papà. Per la festa di carnevale, lui compose una canzone apposta per noi e noi, anche se non ricordo assolutamente come, l’abbiamo suonata nel teatrino delle Figlie di Gesù di Carrara».
Papà Sergio è stato a sua volta un musicista piuttosto quotato, che ha suonato pure con Zucchero: «Per anni ha fatto parte di una band molto particolare, composta tutta da africani: lui era l’unico bianco. Hanno anche inciso un paio di dischi». Finché non ha deciso di aprire il negozio dove Francesco ha trascorso buona parte della sua infanzia: «Per me era come un parco giochi, nel senso che ogni strumento lo vedevo come un giocattolo da esplorare. Li provavo tutti e facevo finta di creare dei veri e propri concerti. La mia preferita era la batteria perché è lo strumento più primitivo, con il suo pulsare che ricorda il battito del cuore. Poi sono passato alla chitarra, ma ancora adesso cassa, piatti e rullante mi divertono di più».
Una famiglia di batteristi, perché anche il fratello Filippo la suona, oltre a collaborare con lui nella scrittura delle canzoni. «Ha sette anni in meno di me e con lui ho un rapporto bellissimo che si è ulteriormente arricchito da quando collabora con me. E ci tengo a sottolineare che questo accade non perché sia mio fratello, ma perché è davvero bravo».
Nel nuovo album di Francesco c’è anche Susanna, cover di un successo di Adriano Celentano, per il quale ha scritto Il bambino col fucile, finita nell’ultimo vendutissimo album che il “molleggiato” ha realizzato con Mina, Le migliori. «La mia passione per Celentano nasce dal fatto che mi riconosco nel suo modo di fare musica, perché lui ha sempre cantato canzoni che hanno un respiro nazionalpopolare, ma inserendo spunti di riflessione».
L’altro faro della musica italiana per Gabbani è Franco Battiato. «Lo scorso anno ho avuto il piacere di aprire un concerto del suo tour con Alice. E di recente mi ha richiamato per partecipare a un Festival che organizza quest’estate in Sicilia. (Gabbani imita benissimo la sua voce, ndr): “Francesco, puoi venire quest’estate a suonare a Milo?” “Con la mia parte trascendente sono già lì”, gli ho risposto».
Da questo miscuglio di riferimenti colti e di musica orecchiabilissima, di riflessioni sui guasti della società sempre filtrati dall’ironia nascono le canzoni di Magellano, da Occidentali’s karma sui “buddhisti part-time”, quelli che si accostano con supercialità alla cultura orientale, a Tra le granite e le granate, «sulla schiavitù che ci porta quando siamo in vacanza a divertirci per forza con attività che “dobbiamo” fare», a Pachidermi e pappagalli su un’altra moda molto diffusa, quella di vedere complotti ovunque, di pensare “vogliono farci credere che sia così, ma la verità è un’altra”. Una moda alimentata soprattutto da Internet: «La facilità di accesso a una quantità illimitata di dati ci fa diventare tuttologi. Ognuno si sente in diritto di dire la sua anche su cose che ignora totalmente e si informa senza approfondire. Uso il plurale perché non ho la presunzione di puntare il dito contro nessuno: io per primo, magari inconsapevolmente, faccio parte di questo sistema».
Alla fine, però, come cantava Edoardo Bennato, sono solo canzonette: «Io propongo degli spunti, ma se qualcuno si ferma solo all’aspetto dell’energia che dà la musica, a me sta benissimo così. “Occidentali’s karma”, con mio grande stupore, ha avuto molto successo tra i bambini. Mi è capitato che qualcuno mi chiedesse qualche spiegazione sul testo, ma la maggior parte si limita a cantarla e a ballarla. E se una canzone emoziona e diverte un bambino, cosa posso pretendere di più?».