Quale big della canzone italiana verrà l’anno prossimo a Sanremo? E’ la domanda che tutti gli addetti i lavori si fanno dopo che è calato il sipario su quest’edizione del Festival baciata da ascolti stellari (oltre 12 milioni ieri sera). Intendiamoci: se lo scopo, come ha sempre dichiarato Carlo Conti, è di promuovere le canzoni più appetibili dalle radio, nessuno può dire che non sia stato raggiunto. “Occidentali’s Karma” di Francesco Gabbani, come già era accaduto l’anno scorso con “Amen”, ha tutte le carte in regola per trasformarsi in un tormentone. La vincitrice annunciata, Fiorella Mannoia, ha dovuto accontentarsi del secondo posto, mentre Ermal Meta, la sorpresa più bella di questo Festival, a consacrazione di una lunga gavetta, completa un podio su cui sono salite le canzoni più belle e originali.
Ma è indubbio che l’aria è cambiata. Fino a qualche anno fa non ci sarebbe stata storia. Quando un peso massimo della canzone italiana decideva di scendere nell’arena sanremese o di tornarvi dopo molti anni come ha fatto la Mannoia, la vittoria finale era assicurata e nessuno aveva nulla da obiettare: è stato così nel 1990 con i Pooh, l’anno successivo con Riccardo Cocciante e, in tempi più recenti, nel 2011 con Roberto Vecchioni. Stavolta, invece, Mannoia a parte, tre artisti che hanno fatto la storia del Festival, Ron, Al Bano e Gigi D’Alessio, non sono nemmeno riusciti a qualificarsi per la finale. Noi c’eravamo nella galleria dell’Ariston, notoriamente frequentata da un pubblico non giovanissimo: al momento del verdetto che certificava la fine dell’avventura dei tre vecchi leoni (si fa per dire, D’Alessio deve ancora compiere 50 anni), si è scatenato un pandemonio, tra fischi, urla e gente che voleva scendere giù a menare non si sa chi.
“Hanno favorito quelli usciti dai talent. Ecco perché Maria De Filippi è venuta gratis”. Questi erano più o meno le parole di chi non riusciva a digerire l’idea che Elodie, Sergio Sylvestre o Michele Bravi abbiano potuto fare meglio di gente che ha venduto milioni di dischi in tutto il mondo. In realtà, la classifica finale ha mostrato che, se è vero che tra i giovani ha vinto Lele proveniente da “Amici”, tra i Campioni gli altri alla fine non hanno brillato più di tanto.
Bisogna tornare dunque al discorso iniziale: se l’obiettivo del Festival è trovare le canzoni più appetibili dalle le radio, tutto bene. E anche chi non è più giovanissimo, ma porta la canzone giusta fa la sua bella figura in classifica: è accaduto due anni fa a Nek, l’anno scorso agli Stadio che hanno perfino vinto e stavolta a Paola Turci. Ma se invece ci si attiene alla denominazione originale di “Festival della canzone italiana”, se si affida il giudizio in larga parte al televoto e a una giuria d’esperti di cui fanno parte Linus, il volto più noto di Radio Dj, e la youtuber Greta Menchi, è difficile che canzoni molto tradizionali seppure dignitosissime come quelle di D’Alessio, Ron e Al Bano possano fare molta strada.
Una cosa è certa: il livello medio delle canzoni in gara è stato davvero scadente e se gli ascolti sono stati così alti il merito va ai due conduttori e agli autori che hanno saputo costruire un sapiente mix tra leggerezza e impegno sociale in cui le canzoni, da protagoniste, sono in realtà apparse sempre più un elemento di contorno tra l’apparizione di un superospite e testimonianze di vita come quella del nonno che ha salvato i nipoti dall’attentato di Nizza. L’anno prossimo dovrebbe tornare Bonolis e allora si vedrà. Ma la sensazione, confermata dai vertici della Rai, è che l'era dei "cantanti da Sanremo" sia finita.