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giovedì 12 settembre 2024
 
FRANCESCO
 

«Memoria, speranza, lavoro e pazienza», le radici del futuro

15/03/2019  Si sono conclusi questa mattina ad Ariccia gli esercizi spirituali guidati da dom Bernardo Gianni, abate di San Miniato al Monte a Firenze. Il ringraziamento del Papa al termine di sei giorni in cui l’abate, monaco benedettino, ha "pennellato" Vangelo, poesia e storia

«Voglio ringraziarti, fratello Bernardo, per il tuo aiuto in questi giorni. Mi ha colpito il tuo lavoro per farci entrare, come ha fatto il Verbo, nell’umano; e capire che Dio si fa sempre presente nell’umano. Lo ha fatto la prima volta nell’incarnazione del Verbo, totale, ma Lui è presente anche nelle tracce che lascia nell’umano. Uguale all’incarnazione del Verbo – indivisa et inconfusa –, è lì. E il nostro lavoro è forse di andare avanti...». Ha preso la parola per ultimo papa Francesco questa mattina a conclusione degli esercizi spirituali Al pontefice e alla Curia Romana ad Ariccia, presso la Casa Divin Maestro, guidati da dom Bernardo Gianni, abate di San Miniato al Monte di Firenze.

«Ti ringrazio tanto di questo lavoro. Ti ringrazio di averci parlato di memoria: questa dimensione “deuteronomica” che dimentichiamo; di averci parlato di speranza, di lavoro, di pazienza, come indicandoci la strada per avere quella “memoria del futuro” che ci porta sempre avanti. Grazie!» prosegue Francesco. «E mi ha fatto ridere quando hai detto che qualcuno, leggendo i titoli delle meditazioni, forse non capiva cosa ha fatto la Curia: forse hanno affittato una guida turistica che li portasse a conoscere Firenze e i suoi poeti… E anch’io nella prima meditazione sono stato un po’ disorientato, poi ho capito il messaggio. Grazie».

Per poi concludere: «Ho pensato tanto a un documento conciliare – la Gaudium et spes – forse è il documento che ha trovato più resistenze, anche oggi. E in qualche momento ti ho visto così: come con il coraggio dei Padri conciliari quando hanno firmato quel documento. Ti ringrazio tanto. Prega per noi che siamo tutti peccatori, tutti, ma vogliamo andare avanti così, servendo il Signore. Grazie tante e saluta i monaci da parte mia e da parte nostra. Grazie!».

Sei giorni di riflessioni ispirate alle parole del sindaco di Firenze Giorgio La Pira, costruttore di pace che sognava e voleva una città simbolo di bellezza, fraternità, accoglienza universale e amore cristiano sul modello della Gerusalemme descritta dal profeta Isaia nel capitolo 60; nella cornice dei versi del poeta Mario Luzi. Pennellate di poesia impastate di sogni, quelle del monaco benedettino dom Bernardo che, nelle omelie ha offerto uno sguardo attento e aperto a 360 gradi alla società di oggi, ma sempre rivolto verso l’Alto e al futuro pensando ai giovani. Facendo delle nostre città dei simboli di pace, fraternità e accoglienza. Coltivando sane utopie «Dio ci vuole capaci di sognare come Lui e con Lui» e non «arrendendoci alle ceneri dentro e fuori di noi perché questa seconda creazione può realizzarsi in ogni uomo, attraverso ogni parola, ogni avvenimento». Sollecitando in Quaresima a «lasciare che Dio restauri la nostra bellezza». Al di là dell’indifferenza «che tante volte paralizza il nostro cuore, rende il nostro sguardo opaco, nebbioso». «Parliamo di bellezza ai giovani, è l’unico modo col quale si accettano e accettano gli altri. […] in che modo saremo belli? Amando Lui, che è sempre bello». Mostrando la bellezza della memoria: «in un’epoca in cui imperversa nel pianeta un’ideologia del presente. […] Gesù lascia l’Eucarestia come memoria quotidiana della Chiesa». […] «Quanto è importante che i ragazzi sentano una tradizione che li avvia alla vita, con queste bellissime prospettive in cui non si è più soli». Ritrovando il desiderio di volgersi al cuore di Dio in un tempo in cui si è persa la capacità di desiderare: «Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare una società troppo appagata e appiattita». «Essere uomini e donne di luce». «Ricordando agli uomini la grazia e il mistero dell’essere stati voluti». Insistendo sulla missione che non può prescindere dalla comunione fraterna: l’immagine di Benedetto XVI di una “mano tesa” come “strumento di dialogo”, il verso finale della poesia di Mario Luzi Siamo qui per questo: “Stringiamoci la mano, sugli spalti di pace”. «La Chiesa, la città, possono essere esperienze di vera accoglienza se vivono anzitutto nella loro intimità un’autentica fraternità». Ecco allora l’invito «ad accostarci all’Eucarestia nella consapevolezza della sua ineliminabile forza di coesione». Nella costruzione di una Gerusalemme del profeta Isaia che non è «una città ideale, ma un’ideale di città» fatta di accoglienza e ospitalità. «Bellissima l’immagine delle porte spalancate perché tutta l’umanità vi possa finalmente accedere e incontrare, sperimentare la grande promessa di Dio che si fa realtà». Un’ospitalità «quella di San Benedetto non buonista ma lucida che accetta il rischio evangelico dell’amore e corrobora l’uomo che si espone a questo rischio con l’unica forza che il credente ha e cioè la preghiera». Benedetto che ci dà la misura di quale evento di mistero sia l’arrivo dell’ospite: “è davvero Pasqua perché ho avuto la grazia di vederti». Agli uomini «essere testimoni dell’Emmanuele, del Dio con noi». Per poi concludere tornando ai giovani: «portiamoli nel cuore del mistero per trovare Dio». Cogliendo «l’appuntamento di grazia» della notte per dirigere lo sguardo verso l’Alto, ritrovare lo stupore, scorgere i segni di Dio. Stelle che sorgono per dirci che la Pasqua è epicentro di speranza. «Perché la notte diventi il momento di vigilanza che il silenzio propizia, il segno, l’indizio, la traccia di qualcuno che ci sta cercando». «Perché le persone uscendo da questa griglia oggettiva della doverosità quotidiana fatta di orari incalzanti, possono riscoprire la grazia di un tempo che si sospende e la possibilità finalmente di alzare lo sguardo verso il cielo e scoprirlo pieno di stelle».                    

 
 
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