La famiglia di Francesco Frigerio, foto di Fabrizio Annibali
Francesco Frigerio era un uomo speciale: per l’attaccamento al suo lavoro, per la fede convinta e profonda, per l’impegno nel sociale e nella parrocchia, per l’amore per la sua famiglia. Ma soprattutto era un nonno che amava i suoi tre nipoti di un amore fatto di tanti gesti complici, di tenerezza, di giocosità. Vicino al suo paese, Suello, in provincia di Lecco, aveva un piccolo appezzamento di terreno dove alla nascita di un nuovo nipote piantava un albero. Se ne è andato nel marzo scorso in pochi giorni all’età di 73 anni, una delle decine di migliaia di vittime del Covid, lui che non prendeva mai neppure l’inluenza, era in buona salute e continuava a stare dietro il bancone del suo alimentari-tabaccheria a Cesana Brianza, Comune attaccato a Suello.
Avevamo radunato a casa di nonna Maria Adele Corti i tre nipoti, Anna, 13 anni, e il fratello Samuele, 9 anni, e Francesco Romano, 7 anni, i bambini delle figlie Erminia e Rosita. L’ultima volta il nonno lo hanno visto venerdì 6 marzo: erano a casa da scuola per l’inizio dell’emergenza Covid, Anna e Samuele venivano da Montorfano (Como), dove vivono, Francesco Romano da Milano. Nessuno ancora lo sapeva, ma il Covid già circolava silenzioso nelle case di Suello. Pochi giorni dopo il primo malessere, a cui né lui né la moglie danno importanza. «Era martedì quando mio marito in auto non riusciva a ingranare la marcia, e mi fissava con lo sguardo vuoto. Pensavo a un problema neurologico, ho chiamato l’ambulanza. Lo hanno portato all’ospedale di Lecco, al pronto soccorso era già il caos. Dopo due giorni, l’esito del tampone, positivo. Io non l’ho visto più, anche se pochi giorni dopo hanno rico- verato anche me, ma in un’altra ala dell’ospedale. I primi tempi conservava il suo spirito, per telefono diceva che gli sembrava di essere in Cina ad assistere a quelle scene surreali, con i medici bardati come astronauti. Le mie figlie gli hanno fatto arrivare una lettera scritta dai nipoti, gliel’ha letta un infermiere. Poi la prima crisi respiratoria, ma in terapia intensiva non c’era posto. È scivolato in uno stato precomatoso e dopo 11 giorni se ne è andato».
I funerali nella chiesa parrocchiale di Suello si sono potuti celebrare solo il 26 giugno. In chiesa la nipote Anna ha letto una lettera: «Nonno Francesco, siamo qui dopo tre mesi per salutarti, per lasciarti andare nella pace, anche se il nostro cuore avrebbe voluto tenerti con noi per ancora molto tempo… In cui ogni momento sei stato nei nostri pensieri, nelle nostre preghiere e nelle nostre lacrime. È troppo doloroso per noi pensare ai tuoi ultimi 12 giorni, da solo, mentre intorno al tuo letto, nel tuo paese infuriava una guerra che ci annientava e faceva cadere voi nonni, papà, mariti, come soldatini… Vogliamo pensare che ci sentivi, che qualcosa di tutto questo bene arrivava fino a te, che tutte le persone che pregavano per te e insieme a noi ti abbiano sollevato e abbiano spalancato per te le porte del Paradiso». Anna si commuove pensando al nonno: «Era unico, aveva tante attenzioni, a lui potevo dire tutto. Mi lavava anche i capelli quando ero piccola, e un anno che avevo una brutta tosse che non mi passava si svegliava di notte per farmi l’aerosol e mi ha accompagnato lui alle terme. Ora che sto entrando nell’adolescenza avrei ancora così bisogno di lui, di confidarmi». La figlia Erminia racconta un episodio che è successo poco dopo la sua morte: «Francesco, che porta il suo nome, non ha pianto perché gli abbiamo spiegato che era in cielo e per lui il nonno era semplicemente da un’altra parte dove non poteva più vederlo. Eravamo sulla ruota panoramica a Mirabilandia e mi ha detto “Lo vedi, il nonno, è lì sopra la nuvola”. Un giorno ha fatto un disegno, Gesù circondato da dei mostriciattoli che rappresentavano il virus, e mostrandocelo ha commentato: “Lui dice il nonno ce l’ho io”. Nella nostra famiglia la fede è sempre stata importante, abbiamo tanti sacerdoti amici, alcuni per mio padre erano come fratelli, lui ci raccontava sempre di quella volta che Madre Teresa nel 1987, per intercessione di monsignor Angelo Comastri (oggi cardinale, ndr) che era amico del nostro parroco, venne a Suello e lui andò a prenderla all’aeroporto.Ma per questa morte solitaria, dove non abbiamo potuto essergli accanto, rimangono tante domande. Perché anche Cristo ha avuto una morte orrenda, ma sotto la Croce c’erano Maria e Giovanni. Mio padre non ha avuto nessuno».
Ora per i tre nipoti resta la nonna che cerca di farsi forza e onorare la memoria del marito: «Abbiamo trovato tanti suoi scritti, per noi sono stati come un testamento. Diceva che siamo fatti per essere felici in questa vita, non solo nell’altra, e lui era grato a Dio per tutto quello che aveva avuto, per la sua famiglia. Era devoto a san Paolo VI, che aveva conosciuto quando era piccolo e Montini era l’arcivescovo di Milano. A lui si af dava e lo pregava di tenere la mano sulla testa dei suoi nipoti per proteggerli».