La grande rivoluzione di Francesco è cominciata subito, dal primo saluto dalla Loggia di piazza San Pietro, la sera del 13 marzo, giorno della sua elezione. Il 266esimo Papa della storia, con il suo semplice buonasera e con la preghiera chiesta al popolo, ha riavvicinato in un attimo i fedeli alla Chiesa.
Autorevole senza essere autoritario, capace di parlare a ciascuno secondo il proprio linguaggio, Jorge Mario Bergoglio, il primo Papa sudamericano della storia, ha subito stretto un’alleanza con chi lo ascoltava. Con un unico grande obiettivo: riportare Dio agli uomini e gli uomini a Dio. Facendo scoprire – come già diceva Paolo VI – che “il Vangelo non è facile, ma è felice”. Perché non fa sconti, papa Francesco. E sbaglia chi crede che il suo merito sia stato quello di cancellare il peccato.
Bergoglio sta facendo molto di più: ricordare costantemente che, per
quel peccato che pure resta, c’è sempre un Padre disposto a perdonare.
A scorrere le parole più usate di questo squarcio di Pontificato
troveremo che quelle più pronunciate sono “misericordia”, “perdono”,
“scusa”, grazie”, “permesso, “gioia”, “amore”. Parole che entrano
nella profondità della vita di ciascuno sorreggendo, accompagnando,
spiegando che è possibile vivere una vita a esempio di quella di Cristo.
Parole che sono stati anche gesti concreti, dalla lavanda dei piedi ai
minori detenuti di Casal del marmo, alla visita a Lampedusa ai migranti,
dal compleanno festeggiato con i senza fissa dimora all’uso
dell’utilitaria per i suoi spostamenti.
A voler far sintesi di questi pochi mesi si può dire che Bergoglio ha lavorato, contemporaneamente su più fronti:
quello istituzionale, quello del rapporto con i fedeli, quello della
catechesi, quello della testimonianza personale. Sono stati nove mesi di
fitto lavoro, all’interno, innanzitutto, coadiuvato dal consiglio degli
otto cardinali, per studiare come le strutture della curia possano
essere sempre di più a servizio del Vangelo e non viceversa. E poi
ancora i capitoli della trasparenza nella finanza, con l’ausilio delle
commissioni referenti sugli affari economici e sullo Ior, per adeguarsi
alle norme antiriciclaggio e per evitare traffici poco chiari; la lotta
agli abusi, con la commissione per la protezione dell’infanzia, la
riforma del codice penale vaticano con l’abolizione dell’ergastolo per
citare solo le azioni più clamorose.
Una Chiesa che è davvero mater et magistra,
madre e maestra, che è vicina e, al tempo stesso insegna. Con la
catechesi ordinaria, con le udienze del mercoledì e l’angelus delle
domeniche dove Francesco non ha mai mancato di riprendere i primi
rudimenti della fede, le preghiere semplici, la devozione popolare, e
di approfondire sminuzzando la teologia alla portata di tutti. Con i documenti, l’ultimo l’esortazione Evangelii Gaudium, con i discorsi e i messaggi.
Con le nomine, a cominciare da quella del segretario di Stato, che
danno corpo e azione a una Chiesa sempre di più improntata al dialogo.
Una Chiesa dove, altre parole chiave del Pontificato, si è chiamati a
“servire”, con gioia, “camminando insieme”, “vescovo e popolo”.
E non è
un caso che proprio al popolo, con uno degli ultimi atti di fine anno,
il Papa abbia chiesto il “permesso” di prendere in prestito il suo
vescovo. Una lettera inusuale con la quale Bergoglio ha chiesto ai
fedeli di Cassano Jonio la disponibilità di monsignor Nunzio Galantino
come segretario a interim della Cei. Una scelta dettata anche
dall’urgenza di completare lo Statuto che dovrebbe segnare un nuovo
corso anche per la Conferenza episcopale italiana. E anche questa è una rivoluzione.