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venerdì 11 ottobre 2024
 
IL TEOLOGO
 

Quel ponte tra Occidente e Oriente

06/02/2019  Pace, reciprocità e rispetto nella storica dichiarazione congiunta di Abu Dhabi tra cattolici e musulmani firmata dal papa dal grand imam di Al-Ahzar

Il tamtam mediatico che ha accompagnato l’evento della visita di papa Francesco nella penisola arabica, rischia di concentrare l’attenzione in maniera pressoché esclusiva sul dialogo fra Cristianesimo e Islam, laddove, invece, si è trattato di un incontro mondiale sul tema della fratellanza, cui hanno partecipato alcune centinaia di rappresentanti delle diverse religioni e fedi. In particolare, ad esempio, il fatto che il documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune sia stato sottoscritto dal papa e dall’imam di Al-Ahzar, rischia di lasciare nell’ombra la terza grande religione abramitica, ossia quella ebraica. Eppure, come ha avuto modo di dire il rabbino di New York Marc Schneider, il dialogo fra le fedi monoteistiche “è una manifestazione degli antichi profeti” e attraverso tale dialogo “l’umanità riconoscerà l’unicità di Dio”.

 

In tale prospettiva andrebbe definitivamente archiviata la parola “tolleranza”, così come si è andata diffondendo, a partire dall’Illuminismo, in rapporto alle appartenenze religiose e culturali altre da quella dominante in un particolare territorio e per le quali il documento auspica venga abolito il termine “minoranza”. In tal modo, piuttosto che l’adozione di un criterio quantitativo, si è chiamati a guardare, confrontarsi e dialogare con le diversità di gruppi e persone, per riconoscerne la ricchezza e la profondità.

 

L’appello accorato che il documento lancia, in particolare a quanti operano in campo culturale (intellettuali, filosofi, uomini di religione, artisti, operatori dei media e uomini di cultura in ogni parte del mondo) intende muovere su tre direttrici condivise: 1) la cultura del dialogo come via; 2) la collaborazione comune come condotta; 3) la conoscenza reciproca come metodo e criterio.

 

In primo luogo, l’identità non teme il dialogo e non si rinchiude in schemi ripetitivi e nell’autoaffermazione del sé, puntando il dito contro l’altro percepito come nemico e minaccia. Piuttosto che affermazione di sé, l’esclusione del dialogo esprime una grande fragilità e insicurezza rispetto al proprio stesso essere. Chi ha radici culturali e religiose profonde non teme né il dialogo, né il confronto e non vede l’incontro come una rinuncia e un impoverimento, ma come un arricchimento e un’occasione di crescita e di maturazione nella propria appartenenza.

 

In secondo luogo, la condotta della collaborazione comune si esprimerà nell’attenzione alla difesa dei diritti fondamentali delle persone, che nessuno può violare. Il documento si sofferma in particolare sul diritto alla vita e pensa soprattutto alle espressioni più fragili di essa: dal nascituro, al bambino, all’anziano, al morente. In particolare il diritto alla libertà religiosa chiede di essere custodito e salvaguardato in ogni situazione, in quanto i totalitarismi negano gli altri diritti a partire proprio dalla negazione di tale libertà fondamentale. Non possiamo dimenticare che il cammino della Chiesa cattolica verso il riconoscimento di tale libertà è stato lungo e faticoso e si è dovuto attendere il Concilio Vaticano II per vederlo a chiare lettere affermato nella Dignitatis humanae, documento di profonda attenzione all’uomo, purtroppo contestato da quanti non l’hanno altrettanto a cuore. Colpisce e ha colpito i media l’attenzione dedicata ai diritti delle donne. Un monito che ciascuna appartenenza deve pensare rivolto al proprio ambito, piuttosto che puntare il dito verso gli altri. Se infatti da un lato l’intento di custodire, tramite un sacrosanto pudore, la femminilità, può di fatto esprimersi in forme di segregazione e violenza inaudite, nell’altro campo, con un malinteso senso di emancipazione, di fatto si finiscono col coprire atteggiamenti e comportamenti mortificanti la figura e il corpo femminile, ridotto a puro oggetto e merce.

 

Infine il metodo e il criterio della conoscenza reciproca, che dovrebbe vedere in prima linea gli operatori culturali, perché non si diffondano visioni distorte e sloganistiche delle appartenenze altre. A tal proposito mi sembra fondamentale l’invito rivolto al contesto educante: “Al-Azhar e la Chiesa Cattolica domandano che questo Documento divenga oggetto di ricerca e di riflessione in tutte le scuole, nelle università e negli istituti di educazione e di formazione, al fine di contribuire a creare nuove generazioni che portino il bene e la pace e difendano ovunque il diritto degli oppressi e degli ultimi”. Per quanto riguarda l’ambiente che mi è più prossimo non posso non esprimere la preoccupazione per la formazione del clero, nelle cui giovani file non di rado si incontrano persone che hanno adottato una visione integralistica ed esclusivistica della loro fede e della loro vocazione. La conoscenza delle altre religioni non si può relegare all’ambito meramente accademico, ma deve nutrirsi di incontri vitali fra i gruppi e le persone. 

 

La comprensione profonda delle proprie radici e delle altre appartenenze culturali e religiose sarà quindi il miglior antidoto ad ogni forma di fondamentalismo e il fondamento di una pace autentica, che non omologa né esclude le diversità. I due polmoni (che Giovanni Paolo II applicava al cristianesimo) dell’Oriente e dell’Occidente dovranno respirare in sintonia e in sincronia, nella consapevolezza che si ha da apprendere da tutti o, come diceva il Concilio Vaticano I, che la Chiesa è in debito verso tutti. Non solo suggestive, ma stimolo per ulteriori approfondimenti, mi sembrano le righe dedicate alla reciprocità fra le culture: “L’Occidente potrebbe trovare nella civiltà dell’Oriente rimedi per alcune sue malattie spirituali e religiose causate dal dominio del materialismo. E l’Oriente potrebbe trovare nella civiltà dell’Occidente tanti elementi che possono aiutarlo a salvarsi dalla debolezza, dalla divisione, dal conflitto e dal declino scientifico, tecnico e culturale. È importante prestare attenzione alle differenze religiose, culturali e storiche che sono una componente essenziale nella formazione della personalità, della cultura e della civiltà orientale; ed è importante consolidare i diritti umani generali e comuni, per contribuire a garantire una vita dignitosa per tutti gli uomini in Oriente e in Occidente, evitando l’uso della politica della doppia misura”.

 

Che di tutto ciò siano consapevoli i leader delle religioni che hanno partecipato all’evento e in particolare i due che hanno sottoscritto il documento/messaggio è certamente una buona notizia, ma non basta: bisogna che tale consapevolezza penetri nelle menti e nei cuori di coloro che quotidianamente professano l’una o l’altra fede e ciò può avvenire solo per il tramite di un costante, faticoso, ma ineludibile impegno educativo.

 
 
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