I tre sacerdoti di "Le pretres Amen".
Dopo il velo, la gonna, o più esattamente la lunghezza della gonna: in Francia è il nuovo pomo di discordia che mette alle prese i paladini della “laïcité” a oltranza e i partigiani di una società più tollerante. Il caso è scoppiato due settimane fa a Charleville-Mézières, cinquantamila anime tra i boschi delle Ardenne (la città è nota, fra l’altro, per aver dato i natali al poeta Arthur Rimbaud), dove Sarah, una quindicenne musulmana, si è vista proibire l’accesso al liceo perché indossava “una gonna troppo lunga”. Una gonna nera, lunga fino ai piedi, che costituirebbe, al pari del velo, un simbolo il quale - ha scritto la direttrice dell’istituto - ostenta “in maniera apparente e provocatoria” l’appartenenza religiosa. Dunque un simbolo proibito dalla legge sulla laicità varata nel 2004.
Ciò che preoccupa è che l’episodio di Charleville-Mézières è sintomatico dell’offensiva a 360° che i fautori di un laicismo aggressivo, intollerante e male digerito (gli “ayatollah della laicità”, come li definisce una parte della stampa) hanno scatenato in questi ultimi mesi. Non solo contro i simboli della fede islamica, ma anche contro quelli delle altre religioni. Citiamo, fra i tanti episodi registrati dalla cronaca, soltanto i più clamorosi. Lo scorso autunno, una donna velata era stata allontanata dal teatro dell’Opera di Parigi a causa dell’abbigliamento troppo poco “laico”. A fine marzo, in occasione delle elezioni amministrative, a un rabbino era stato impedito di votare con la “kippah” in testa. In aprile, la direzione della Ratp (l’azienda dei trasporti urbani di Parigi) aveva rifiutato di lasciare affiggere nei corridoi della metropolitana un manifesto pubblicitario per un concerto del gruppo musicale “Les Prêtres - Amen” (“I preti - amen”) perché su di esso spiccava la dicitura “a favore dei cristiani d’Oriente”. Insopportabile per i partigiani di una “laicité” pura e dura.
Il fatto che la Ratp, di fronte al clamore e all’ondata di proteste suscitati dalla proibizione del manifesto, abbia finito per fare marcia indietro, non ha impedito agli “ayatollah della laicità” di tornare alla carica, proprio negli ultimi giorni, e questa volta in Bretagna, una regione dove il cattolicesimo è ancora molto vivo. Così come all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica le statue di Lenin, Stalin e Marx venivano abbattute in Russia e nei paesi satelliti, il tribunale amministrativo di Rennes ha ordinato la rimozione di una statua di San Giovanni Paolo II (tutt’altro che degna di menzione artistica, ma questo non è il punto) dal centro di Ploërmel, ridente cittadina bretone. Merita di essere sottolineata la motivazione del provvedimento con il quale i giudici hanno accettato il ricorso presentato da una “Federazione nazionale del libero pensiero” da pochi conosciuta: “La statua è circondata da un arco sormontato da una croce, simbolo della religione cristiana, che per sua disposizione e dimensioni ha un carattere ostentato”. E quindi, il monumento “va rimosso dalla sua posizione attuale”.
Il monumento a papa Wojtyla, alto in tutto 8 metri e sormontato da un arco che culmina in una croce, era stato concepito dallo scultore russo di origine georgiana Zurab Tsereteli: ora il municipio ha sei mesi di tempo per smontarlo. Interessante notare che, se non ci fosse stata la croce, la statua sarebbe stata lecita. Esulta, ovviamente, la Federazione nazionale del libero pensiero, che alcuni mesi fa era già riuscita a far rimuovere, da un parco pubblico, in Savoia, una statua della Vergine Maria (anch’essa violava la legge del 1905 sulla separazione fra Stato e Chiesa). E gli stessi “liberi pesatori” erano stati protagonisti in passato di altre iniziative giudiziarie dello stesso genere, anche contro simboli tradizionali particolarmente popolari come i presepi.
Tutti questi episodi potrebbero far sorridere, o essere liquidati con alzate di spalle, come ridicoli sintomi della rigidità mentale, o addirittura della stupidità dei difensori a oltranza della “laicité”. E invece sono preoccupanti perché dimostrano, a chi non l’avesse ancora capito, che nel paese che da oltre due secoli esalta gli ideali di “Liberté, Egalité, Fraternité” (il motto è onnipresente, persino sulle porte delle prigioni dove la “Liberté” non è proprio di casa) è piuttosto l’intolleranza che sembra avere il vento in poppa. Si può anche pensare che tutto questo non abbia molta importanza, e tuttavia cominciano ad alzarsi, sempre più forti, le grida d’allarme. Gli eccessi di un laicismo integralista, in quale non ha nulla a che vedere con la vera nozione di laicità aperta e pluralistica, spargono i semi dell’intolleranza. Antisemitismo, islamofobia e cristianofobia sono altrettante facce di una medesima medaglia.
Il caso della liceale quindicenne sospesa perché portava una gonna “troppo lunga” ha suscitato polemiche e reazioni controverse in tutto il paese, e su Twitter è anche nato l’hashtag #JePorteMaJupeCommeJeVeux, “Io porto la gonna come voglio”. Le discussioni su twitter sono accese: “Troppo corta, ti fai sputare addosso. Troppo lunga ti cacciano dalla scuola. Ma lasciateci in pace”....
Anche l’episodio della statua di papa Wojtyla espulsa da una piazza della cittadina di Ploërmel (Bretagna) fa discutere animatamente. Anche qui le polemiche sono furibonde, anche qui è nato un hashtag: #TouchePasAMonPape, “non toccare il mio papa”.
Merita una spiegazione il gruppo “Les Prêtres - Amen” il cui manifesto era stato proibito dalla direzione del metrò di Parigi perché portava la dicitura “A favore dei cristiani d’Oriente”. In Italia, il nome dice poco o niente, ma in Francia “Les Prêtres” sono vere celebrità. Il gruppo è nato cinque anni orsono per iniziativa del vescovo di Gap, che aveva chiesto ai tre sacerdoti di registrare un cd per raccogliere i fondi necessari per la costruzione di una chiesa e una scuola. Successo immediato, e strepitoso: ognuno dei tre dischi incisi a da allora (“Spiritus Dei”, “Gloria”, “Amen”) è finito al primo posto nelle classifiche francesi. Milioni di copie vendute, incassi a sei zeri devoluti in beneficenza.