Dagli anni Cinquanta in poi, la corsa al nucleare da parte della Francia non ha mai smesso di accelerare. Oggi è il Paese con il maggior numero di centrali rispetto al numero di abitanti, e malgrado gli allarmi costanti da parte delle associazioni ambientaliste e delle coalizioni ecologiste sul « pericolo atomo», il governo non ha mai manifestato intenzioni di fare seriamente marcia indietro. Ancora l’anno scorso, Ségolène Royale, ministro dell’ecologia, alle domande del deputato ecologista Eric Alauzet che l’interrogava sul futuro del nucleare e sull’applicazione della legge di transizione energetica che prevederebbe - il condizionale è d’obbligo - la diminuzione del 50% della parte di elettricità prodotta col nucleare in Francia entro il 2025, la Royale rispondeva che « saranno fermati da due a sei reattori ». Quest’affermazione suona assurda quando si sa che sul territorio sono in attività 58 reattori, e che per raggiungere l’obiettivo fissato dalla legge di transizione energetica sarebbe necessario fermarne in tempi brevi almeno venti.
Nessun candidato alle prossime elezioni presidenziali di maggio si posiziona chiaramente per l’uscita dall’energia atomica, salvo il rappresentante del Front de Gauche Jean Luc Melenchon e naturalmente il candidato del partito ecologista, Yannick Jadot. Due voci che rimangono comunque deboli e senza eco in un contesto politico sensibile alle pressioni delle lobbies. Una recente inchiesta trasmessa da France 2 sul disastro di Fukushima - di cui tra poco ricorrerà il sesto anniversario - e sulle reazioni dell’Eliseo, ha mostrato la preoccupazione dell’allora governo Sarkozy circa l’impatto dell’incidente in Giappone sulla filiera francese. Sarkozy fece addirittura pressione sull’ex Primo Ministro nipponico Naoto Kan per essere il primo capo di stato a raggiungere Tokyo dopo il disastro, questione di rassicurare i Giapponesi sulla necessità di proseguire il programma nucleare. Così, di fronte a un Naoto Kan allibito che aveva appena affermato pubblicamente che il Giappone doveva fermare le centrali in nome della sicurezza nazionale, il prode Sarkozy sosteneva esattamente il contrario, davanti a una platea ancora sotto shock per la sciagura di Fukushima.
Questo è il contesto politico che ha visto maturare l’ennesima decisione presa dal governo a discapito dell’ambiente e a favore della filiera dell’atomo.
A Bure, nell’Alta Marna, a tre ore dalla capitale, l’ANDRA (Agenzia nazionale per la gestione delle scorie radioattive) ha messo in piedi un macro-cantiere per realizzare un progetto che potrebbe avere un impatto ambientale inquietante. Qui l’agenzia ha intenzione di creare la più grande discarica di scorie radioattive d’Europa. Non a caso questa zona è stata scelta dalle autorità.
L’Alta Marna soffre da decenni di una grave crisi economica derivante dal collasso del settore agricolo soffocato dalle direttive dell’Unione Europea e dalla corsa al ribasso dei prezzi dei prodotti. I paesi si sono svuotati della loro forza lavoro, i giovani sono partiti verso le città, la vita commerciale che animava i piccoli centri si è lentamente estinta, i negozi hanno cominciato a chiudere, idem per le piccole imprese e per le associazioni culturali. La popolazione e le autorità locali avevano un disperato bisogno di entrate. Sono così cominciati gli espropri e gli accordi coi sindaci, l’ANDRA si è impossessata in questo modo di tremila ettari di terreno. La maggior parte dei contadini e delle giunte comunali ha accettato le offerte economiche, spesso spinti a dire di sì dai metodi non troppo concilianti dell’agenzia stessa. Così il sindaco Jean Pierre Rammelé, a capo della giunta del borgo di Bonnet, duecento abitanti, da sempre oppositore convinto del progetto della discarica, è stato allontanato dal consiglio municipale.
Il progetto, solo in Europa, prevede trenta chilometri quadrati di gallerie, scavate a cinquecento metri sottosuolo per immagazzinare le scorie prodotte nei vari siti nucleari d’Europa: si tratterà di (almeno) ventimila metri quadrati di materiale altamente radioattivo, alcune associazioni ambientaliste parlano di centomila metri quadrati di scorie. Il collettivo locale « Reclaim the fields » denuncia il fatto che l’ANDRA avrebbe addirittura ostacolato e impedito la costruzione di impianti destinati al lavoro agricolo, in modo da scoraggiare i proprietari dei campi a rimanere. Secondo numerose testimonianze rilasciate ai media francesi, con la minaccia di applicare espropri coercitivi, l’ANDRA ha ottenuto il jackpot facendo accettare le offerte di acquisto dei terreni quasi a tutti.
I contadini denunciano persino l’intimidazione. Ai microfoni di un giornalista di France 3 che si chiedeva come mai a una manifestazione contro il cantiere ci fossero pochissimi abitanti locali, un uomo ha risposto: « Decidono quello che vogliono, ci lasciano il diritto "precario" di utilizzare le terre, se dico "precario" dico che se non piace il mio comportamento, possono impedirmi di accedere ai campi». C’è chi tuttavia continua a resistere.
Un cartello accoglie i visitatori a Bure: «Bure, città gemellata con Chernobyl, Fukushima e Three Mile Island». Qui, nel cuore del cantiere dell’ANDRA, è stata aperta una « Maison de la Resistence », che l’ANDRA vuole dissuadere da qualsiasi tipo di attività che miri a ostacolare l’avanzamento dei lavori. Alcuni militanti pacifisti la scorsa estate hanno denunciato l’intervento violento degli agenti di sicurezza privati assunti dall’ANDRA per proteggere il sito. Alcuni giovani, aggrediti dagli agenti privati, sarebbero finiti in ospedale con la prognosi di qualche giorno, colpiti a calci e pugni per aver manifestato pacificamente. L’agenzia ha costruito illegalmente un muro di centinaia di metri per delimitare un bosco che dovrà essere abbattuto per permettere la costruzione delle condotte di aerazione delle gallerie. Insomma, l’ANDRA, qui, la fa ormai da padrone.
La Francia continua così ad appoggiare la filiera nucleare malgrado una parte sempre più ampia dell’opinione pubblica si esprima contro. Il governo mantiene la sua linea nonostante incidenti inquietanti come quello occorso a Flamanville, nel dipartimento della Manica, qualche giorno fa, quando un’esplosione si è verificata presso il reattore n.1. A poche settimane dall’anniversario del disastro di Fukushima, molti francesi ricordano poi l’incidente avvenuto nel 1999 alla centrale di Blayais, presso l’estuario della Gironda, quando le onde altissime della tempesta Martin, sollevate da raffiche di vento a 140 km/h superarono la diga di protezione e si abbatterono sulla centrale. Una sciagura analoga a quella di Fukushima fu evitata per miracolo. In Francia, la spada di Damocle è radioattiva.