È quasi un instant book eppure riesce a scendere in profondità. A pochi mesi dalla scomparsa di Franco Marini, sindacalista e politico legato al cattolicesimo sociale, morto lo scorso 9 febbraio, un libro fa luce sulla sua figura, unica nel panorama italiano e capace di lasciare un segno profondo. Si intitola Franco Marini il popolare (Edizioni Lavoro). «Scrivere è stato un modo per metabolizzare la notizia della scomparsa di Franco, per ricordarlo, ma soprattutto per tenerlo vivo» racconta l’autore, il giornalista e politico piemontese Giorgio Merlo, che con Marini ha condiviso un lungo tratto di strada. E’ un testo che sintetizza memorie, testimonianze e riflessioni attorno a una vita vissuta in pienezza, tra sindacato e istituzioni.
Ed è proprio questo, secondo Merlo, uno dei cardini per inquadrare il ruolo di Marini: «L’impegno di sindacalista e quello di politico sono inscindibili, sono le due facce di una comune visione. Persone di questa caratura, capaci di ricoprire con eguale efficacia entrambi i ruoli, sono rare nel panorama italiano». In effetti la vita di Marini è scandita da due fasi, diverse ma mai disgiunte. Fin da giovanissimo iniziò il suo impegno nella Cisl, con una progressiva maturazione che lo portò, nel 1985, a essere scelto come segretario nazionale. Poi l’attività politica, con la Democrazia Cristiana, con il Partito Popolare, che contribuì a far nascere e di cui divenne segretario nel 1997, e ancora con diverse espressioni del centro-sinistra, dalla Margherita al PD.
«Marini era una persona trasparente» ricorda l’autore del libro. «Non amava il trasformismo, né la cosiddetta politica fluida». Trasparenza e coerenza dimostrate anche nei momenti più burrascosi della carriera politica, come nell’aprile 2013, quando l’ex sindacalista arrivò a un passo dal Quirinale, salvo poi restar vittima dei franchi tiratori del suo stesso partito, che all’ultimo momento mandarono a monte l’elezione. Una pagina che lo amareggiò (come del resto molti episodi della politica recente), ma sulla quale mantenne sempre un grande riserbo, rotto solo con pochissimi amici e a distanza di tempo, in una frase che fa capire tutto: «bastava dirmelo prima».
«Era un leader riconoscibile» ricorda ancora Merlo. «Si sentiva parte di una tradizione politica, quella del cattolicesimo sociale, cui restò fedele in tutte le fasi della sua vita: nel ’91, quando raccolse l’eredità di Carlo Donat-Cattin, nel Partito Popolare e poi nella Margherita». «Non credo esista oggi un erede di Marini» sostiene l’autore. «esiste però una grande eredità, che siamo chiamati a coltivare e a tener viva».
Nei giorni scorsi il libro di Giorgio Merlo è stato presentato a Torino, durante un incontro promosso dalla Fondazione Carlo Donat-Cattin, presso il Polo del ‘900. Insieme con l’autore, sono intervenuti alcuni compagni di strada di Marini: Giorgio Benvenuto (Uil) e Annamaria Furlan (Cisl) hanno rievocato gli anni del sindacato, mentre Gianfranco Morgando (politico Pd e direttore della Fondazione Donat-Cattin) ha ripercorso l’esperienza in seno alle istituzioni. Tutti, riferendosi a Marini, ne hanno ricordato il coraggio, il pragmatismo, l’abilità nella strategia politica, sempre però orientata al bene comune e al servizio delle persone. L’incontro è stato moderato dal vicedirettore de La Stampa, Paolo Griseri. Resta, in conclusione, l’auspicio di Giorgio Merlo. «Non penso affatto che l’esperienza del cattolicesimo sociale sia al tramonto. Anzi, vari elementi ci dicono che il predominio dei populismi sta entrando in crisi. E in questo nuovo scenario, i valori di cui Marini è stato portatore possono tornare di attualità».