S'affollano in questi giorni i pellegrini
sulla tomba del beato Pier Giorgio
Frassati, visitata anche da papa
Francesco domenica 21 giugno nel
Duomo di Torino: sono
passati 90 anni dalla sua morte il 4 luglio per
una poliomelite e dal suo funerale, «l’inizio della
sua santificazione» che svelò anche alla famiglia
la notorietà del giovane nato il 6 aprile 1901.
Attorno al feretro non c’era solo la Torino
borghese (il padre Alfredo era stato fondatore
e direttore del quotidiano La Stampa, la madre
Adelaide era un’affermata pittrice), ma una
moltitudine di persone sconosciute, gente del
popolo, «poveri provenienti da ogni parte, perfino
un cieco che si era fatto largo fra la gente
per toccare la bara», come annota Luciana, sorella
minore di un anno.
C’erano gli amici della
San Vincenzo a testimoniare la carità come stile
di vita di quel giovane «che correva sempre
per i poveri», fin dagli anni liceali dai Gesuiti e alla scelta universitaria di Ingegneria per un
giorno andare in America Latina a lavorare fra
i minatori.
Al funerale parteciparono anche le guide
del Club alpino italiano, al quale Frassati si era
iscritto a 17 anni, e della Giovane montagna,
l’associazione cattolica nata a Torino e ancor oggi
attiva con 3 mila soci.
«Il fascino della montagna
mi attira», diceva fin da giovane, quando
affrontò cime e ghiacciai anche impegnativi, distinguendosi
però per l’attenzione ai compagni
di cordata più in difficoltà. L’allegria che viveva
con gli amici della Fuci nella Compagnia dei tipi
loschi e che diffondeva anche nelle uscite sportive,
si trasformava in raccoglimento profondo
durante la preghiera; per Frassati l’escursionismo
e l’alpinismo furono sempre un’esperienza
profondamente spirituale: all’alba passava
a prendere in macchina gli amici d’escursione
per andare insieme alla Messa delle 4 e mezza
che apriva la loro giornata.