Si è parlato molto di ambiente in queste ultime settimane. Se ne è parlato con toni preoccupati e stupiti dinanzi alle temperature da record in Canada e ai morti che esse hanno determinato. Si è tornati a parlarne in toni analoghi dinanzi ai disastrosi eventi metereologici che hanno investito la Germania e il Belgio. Condivido appieno il cordoglio per le vittime e la preoccupazione; non invece lo stupore. Difficile, infatti, essere stupiti dinanzi al verificarsi di fenomeni previsti dalla climatologia con largo anticipo: sono ormai decenni che la ricerca segnala che una maggior concentrazione di gas climalteranti in atmosfera accresce la probabilità di eventi meteorologici estremi.
Certo, questo non significa che si sia in grado di predire dove o quando si verificherà la prossima inondazione o la prossima ondata di caldo (o magari il prossimo devastante incendio da calore); sappiamo però che tali fenomeni diverranno via via più frequenti e intensi col passare degli anni. Sono ormai decenni che i rapporti dell’IPCC (International Panel on Climate Change, www.ipcc.ch) documentano in modo articolato e puntuale la varietà di possibili impatti (ecosistemici, sociali, economici) del mutamento in atto e la cronaca recente ha semmai superato le previsioni.
Numerosi sono i testi – penso al bell’Addio ai ghiacci. Rapporto dall’Artico di Peter Wadhams (Bollati Boringhieri, 2019) – che esplorano in forme scientificamente solide gli sconcertanti scenari di un futuro ormai prossimo. Stupore provo, semmai, in questi giorni dinanzi al dibattito sulle misure di contrasto al mutamento climatico prospettate dall’Unione europea (riduzione del 55% delle emissioni entro il 2030; neutralità climatica al 2050). Non ci si interroga se esse bastino a contrastare un riscaldamento che procede a velocità crescente; non ci si domanda se gli obiettivi siano compatibili con il contenimento delle emissioni indicato dal mondo scientifico.
Il contributo dell’Italia a tale dibattito sembra concentrarsi invece quasi esclusivamente sui possibili impatti delle misure richieste sull’industria automobilistica del nostro Paese, che rischierebbe di dover accelerare i tempi di una transizione a forme di mobilità sostenibile. Certo, giusto è chiedere tutele e sostegni per settori che più dovranno affrontare onerose trasformazioni, evitando di caricare solo su di essi gli oneri di scelte che interessano il bene di tutti (non a caso, il Green Deal europeo prevede finanziamenti in tal senso): la transizione ecologica – lo sottolinea anche l’Instrumentum laboris della prossima Settimana Sociale di Taranto – deve essere transizione giusta. Si rischia però che tale legittima preoccupazione divenga paravento per interessi particolari, ritardando l’assunzione di misure urgenti e necessarie. Quando è in gioco il futuro della terra, un interrogativo ritorna: «Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?» (Laudato si’, n. 160).