Quando la mia famiglia si riunisce per il pranzo o la cena, di solito iniziamo con una preghiera, ringraziando per il cibo e la vita e invocando la benedizione di Dio – sulla nostra famiglia, su amici e parenti, sulla famiglia umana tutta, sulla terra che ci porta e ci sostiene. Considero essenziale per la mia esperienza credente affidare ogni giorno al Signore le esistenze e il futuro di tutti e tutte, per questo tempo di pandemia, ma anche per la crisi socio-ambientale di questi decenni. Ben ho compreso quindi l’iniziativa di papa Francesco di invitare a una preghiera comune nel mese di maggio, perché Egli ci sostenga dinanzi a una malattia che investe il pianeta tutto. Ho invece letto con stupore le parole di Vito Mancuso, che nei giorni successivi ha squalificato tale iniziativa come aliena dalla spiritualità contemporanea, che – a suo dire – saprebbe che la benevolenza di Dio non si compra con le pratiche religiose; perché mai chiedergli di intervenire per noi? Sono parole che mi sono apparse distanti dall’orizzonte biblico, in cui tante volte risuona il grido al Signore perché sostenga chi vive la difficoltà, perché liberi chi è nell’angoscia. E altrettanto spesso si alza il canto di lode, per le meraviglie da Lui operate, per la Sua risposta all’invocazione del povero. Certo potremmo chiederci se non siano solo immagini, che uno sguardo più maturo dovrebbe superare, per giungere a una visione di Dio più alta. Ma allora che resterebbe dell’esperienza religiosa? Che rimarrebbe dell’esperienza di chi si affida a Dio perché lo liberi? Sarebbe solo un benevolo inganno, in cui ciò che conterebbe sarebbe imparare a vivere alla Sua presenza anche nella negatività? A me piace piuttosto l’idea di un Dio in dialogo costante con la sua creazione: Lui è il primo ad ascoltare «il grido della terra ed il grido del povero» (Laudato si’, n. 49); Lui è il primo a lasciarsi commuovere dai gemiti di chi chiede aiuto per sé e per altri. Un Dio che ascolta e condivide il grido e la passione delle sue creature: questa è la realtà di cui narra la croce di Gesù Cristo; un Dio che dà vita a chi in Lui confida: a questo orienta il canto pasquale. Il suo amore per la creazione – e per noi, sue creature – non presenta il volto imperscrutabile di chi tutto conosce e in nulla ha bisogno delle nostre parole; piuttosto quello di chi in ogni tempo si lascia interpellare, per dar vita a forme sempre nuove di vita e di salvezza. Non senza di noi certo; non senza il nostro agire. Una preghiera per il tempo di pandemia sarà in primo luogo una domanda di forza gentile per le mani di chi pratica l’azione di cura; di lucidità per chi cerca rimedi alla malattia; di saggezza per chi deve progettare le forme di vita associata per questo tempo difficile. Una domanda di ispirazione e di speranza, dunque, ma anche di azione salvifica - analoga a quella che muove la spiritualità ecologica di tanti credenti che provano a respirare in sintonia con lo Spirito di Dio e col grido della terra, lasciandosi ispirare alla sua cura.