«”Fratelli tutti” scriveva San Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo». Papa Francesco spazza via le polemiche femministe dei giorni scorsi fin dalla prima riga della sua enciclica. Chiarendo che il “fratelli” usato dal santo di Assisi nel 1200 non esclude il mondo femminile. E ancora precisa, nell’enciclica firmata, per la prima volta, fuori Roma che essa è diretta principalmente ai cattolici, ma poi anche a tutti gli uomini di buona volontà. Una sorta di compendio il suo di tutto il suo Pontificato. Con quell’afflato alla fratellanza universale evidente fin dal primo momento in cui si era affacciato dalla Loggia delle benedizioni, il 13 marzo 2013, salutando con il suo «Fratelli e sorelle, buonasera». Un insegnamento che, in questi sette anni di Pontificato, ha portato in tutte le latitudini E che ha visto uno dei momenti più alti nella Dichiarazione di Abu Dhabi sulla fratellanza universale, firmata con il grande imam di Al Azhar.
Un’enciclica molto concreta, questa, che, dopo aver analizzato i vari aspetti della convivenza – da quelli economici a quelli politici, dalla migrazioni al lavoro alla corsa agli armamenti dà, per ogni capitolo anche indicazioni concrete sulle buone prassi che le comunità ecclesiali, i singoli, i credenti e i non credenti debbono mettere in atto per “riconciliare” il mondo e spingerlo a una difesa del bene comune che non lascia indietro nessuno.
Otto capitoli, 287 numeri scritti in spagnolo e poi tradotti. Una consultazione con le conferenze episcopali locali e con singoli esperti per una enciclica che vuole parlare a tutti. Con un linguaggio semplice e diretto. Un’enciclica che il Papa stesso definisce “sociale” e che ha risentito del diffondersi della pandemia che ha acuito la crisi già in atto nel mondo intero. E che si apre con il capitolo dedicato a Le ombre di un mondo chiuso, un’analisi dettagliata delle storture che, nel momndo contemporaneo, determinano lo scarto dei più deboli. Francesco insiste sulla «manipolazione e deformazione di concetti come democrazia, libertà, giustizia; la perdita del senso del sociale e della storia; l’egoismo e il disinteresse per il bene comune; la prevalenza di una logica di mercato fondata sul profitto e la cultura dello scarto; la disoccupazione, il razzismo, la povertà; la disparità dei diritti e le sue aberrazioni come la schiavitù, la tratta, le donne assoggettate e poi forzate ad abortire, il traffico di organi». L’enciclica denuncia la cultura dei muri, il deterioramento dell’etica, le responsabilità di una comunicazione che denigra l’altro.
Alle ombre, ed è il secondo capitolo, si contrappone però un’altra figura: “L’amore costruisce ponti: l’esempio del Buon Samaritano”, titola il testo. E ricorda che, in una società malata, tutti, non solo i credenti, siamo chiamati a farci carico dell’altro. «superando pregiudizi, interessi personali, barriere storiche o culturali» per arrivare, capitolo terzo, a “Pensare e generare un mondo aperto”. Occorre uscire da noi stessi, dai nostri egoismi, e mettere sempre al primo posto l’amore, la ricerca del meglio per la vita dell’altro.
Negli altri capitoli poi, le indicazioni concrete. A partire (capitolo quattro), dall’avere “Un cuore aperto al mondo intero”. «L’affermazione che come esseri umani siamo tutti fratelli e sorelle, se non è solo un’astrazione», scrive il Papa, «ma prende carne e diventa concreta, ci pone una serie di sfide che ci smuovono, ci obbligano ad assumere nuove prospettive e a sviluppare nuove risposte». Sulle frontiere, innanzitutto, che non possono essere chiuse perché «i diritti non hanno frontiere». Il diritto a vivere con dignità «non può essere negato a nessuno», afferma ancora il Papa, «e poiché i diritti sono senza frontiere, nessuno può rimanere escluso, a prescindere da dove sia nato». Vanno ripensate allora le relazioni internazionali, il diritto a restare nel proprio Paese e a partire in condizioni di sicurezza allargando la concessione dei visti e rafforzando i corridoi umanitari. Va applicato poi il principio della destinazione universale dei beni della terra e affrontato il tema del debito estero, che va saldato, ma senza compromettere la sopravvivenza e lo sviluppo dei Paesi più poveri.
Ed è necessaria, capitolo quinto, “La migliore politica”, «per rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a partire da popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale, è necessaria la migliore politica, posta al servizio del vero bene comune. Purtroppo, invece, la politica oggi spesso assume forme che ostacolano il cammino verso un mondo diverso». Il Papa mette in guardia dai populismi che disgregano la nozione stessa di democrazia e schiacciano il popolo. proponendo invece una politica che tutela il lavoro, «dimensione irrinunciabile della vita sociale» sapendo che «la vera strategia anti-povertà non mira semplicemente a contenere o a rendere inoffensivi gli indigenti, bensì a promuoverli nell’ottica della solidarietà e della sussidiarietà». Compito della politica è cercare soluzioni a tutto ciò che attenta all’applicazione die diritti umani: l’esclusione sociale; il traffico di organi, tessuti, armi e droga; lo sfruttamento sessuale, la tratta «vergogna per l’umanità»; il lavoro schiavo; il terrorismo ed il crimine organizzato, la fame che è «criminale». Occorre riformare l’Onu, e anche l’economia mondiale lavorando come famiglia di Nazioni e lavorando per lo sradicamento dell’indigenza e la tutela dei diritti umani.
Per farlo, capitolo sesto, ci vogliono “Dialogo e amicizia sociale”, ci vuole quello che il Papa chiama «miracolo della gentilezza», che apre al dialogo, al rispetto del punto di vista dell’altro. Il Papa richiama il ruolo dei media che «senza sfruttare le debolezze umane o tirare fuori il peggio di noi, devono orientarsi all’incontro generoso e alla vicinanza agli ultimi, promuovendo la prossimità ed il senso di famiglia umana». Occorre invece essere gentili nel modo e nei linguaggi sapendo che «una persona gentile crea una sana convivenza ed apre le strade là dove l’esasperazione distrugge i ponti».
Bisogna lavorare per la pace, promuovendo (capitolo settimo) “Percorsi di un nuovo incontro”. Serve un’architettura di pace a livello globale e poi artigiani di pace, nella vita quotidiana, nei cammini di ogni giorno. Servizio all’altro, con capacità di perodno personale e sociale. «Bisogna amare tutti», scrive Francesco, «senza eccezioni, ma amare un oppressore significa aiutarlo a cambiare e non permettergli di continuare ad opprimere il prossimo. Anzi: chi patisce un’ingiustizia deve difendere con forza i propri diritti per custodire la propria dignità, dono di Dio». E dunque perdono «non vuol dire impunità, bensì giustizia e memoria, perché perdonare non significa dimenticare, ma rinunciare alla forza distruttiva del male e al desiderio di vendetta». Anzi non bisogna dimenticare gli orrori, come la Shoa o i bombardamenti atomici per non ripeterli. E, proprio ricordando gli orrori della guerra, occorre fermare la corsa agli armamenti, in particolare quelli nucleari. Uno sforzo da fare a livello globale perché nessuno Stato può agire da solo. E, con i soldi risparmiati dall’acquisto delle armi il Papa propone la costituzione di un Fondo per combattere la fame a livello mondiale.
La guerra, ricorda l’enciclica è «una minaccia costante», una «negazione di tutti i diritti», «il fallimento della politica e dell’umanità» «la resa vergognosa alle forze del male». Nessuna guerra può essere giusta, scrive il Pontefice ribadendo con forza «Mai più la guerra!». E mai più la pena di morte. «L’omicida non perde la sua dignità personale, Dio ne è garante», si legge nell’enciclica. Che invita a non vedere la pena come una vendetta, ma come una possibilità di morte come una possibilità di reinserimento sociale.
E, infine, nell’ultimo capitolo il Papa torna sull’impegno che spetta ai credenti, affrontando il tema “Le religioni al servizio della fraternità nel mondo”. «Le diverse religioni, a partire dal riconoscimento del valore di ogni persona umana come creatura chiamata ad essere figlio o figlia di Dio, offrono un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società. Il dialogo tra persone di religioni differenti», ribadisce Francesco, «non si fa solamente per diplomazia, cortesia o tolleranza. Come hanno insegnato i Vescovi dell’India, “l’obiettivo del dialogo è stabilire amicizia, pace, armonia e condividere valori ed esperienze morali e spirituali in uno spirito di verità e amore”». La violenza non può trovare giustificazioni nelle religioni e gli atti terroristici nulla hanno a che vedere con la vera fede, ma sono frutto di «interpretazioni errate dei testi religiosi, nonché a politiche di fame, povertà, ingiustizia, oppressione». Il terrorismo non va sostenuto né con il denaro, né con le armi, né tantomeno con la copertura mediatica perché è un crimine internazionale contro la sicurezza e la pace mondiale e come tale va condannato Inoltre, ribadisce il Pontefice, va garantita la libertà religiosa, diritto umano inalienabile. E ancora, riprendendo il “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza”, firmato il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi, con il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyib, ricorda l’appello affinché, in nome della fratellanza umana, si adotti il dialogo come via, la collaborazione comune come condotta e la conoscenza reciproca come metodo e criterio.
L’enciclica si conclude con il ricordo di testimoni di dialogo come Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e il Beato Charles de Foucauld, e con due invocazioni: una “Preghiera al Creatore” «che ha creato tutti gli esseri umani con la stessa dignità», e una “Preghiera cristiana ecumenica” perché non dimentichiamo che i fratelli e le sorelle «tutti sono necessari, che sono volti differenti della stessa umanità amata da Dio».