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domenica 06 ottobre 2024
 
 

La P2 e il diario di Tina

29/03/2011  Trent'anni dopo esce un libro con gli appunti segreti di Tina Anselmi, presidente della Commissione parlamentare che indagò la loggia occulta di Gelli. Appunti quanto mai attuali.

Oltre 700 foglietti, quasi dei post-it. Brevi, nervosi appunti presi nel corso delle audizioni o durante la lettura di atti e documenti. Un materiale enorme, difficile, delicato. «Tina me l’aveva dato da molto tempo, ma non avevo mai preso il coraggio di affrontare questo lavoro. Sapevo che era importante pubblicarlo. Ora l’ho fatto». Le parole sono di Anna Vinci, curatrice del libro La P2 nel diario segreto di Tina Anselmi, in uscita in questi giorni per Chiarelettere.

 

     Anna Vinci, romana, è scrittrice, autrice e conduttrice. Ma soprattutto è legata da una forte e antica amicizia con l’onorevole Anselmi. «La prima ragione per cui questo libro andava pubblicato», spiega, «è che volevo rendere omaggio a una grande donna, che a 17 anni ha voluto diventare staffetta partigiana (col nome in codice di Gabriella), che è stata il primo ministro donna della Repubblica, e che, infine, si è trovata a presiedere una delle più complesse e pericolose commissioni d’inchiesta volute dal Parlamento: quella sulla Loggia massonica P2 di Licio Gelli».

 

     «La seconda ragione», continua, «è l’estrema attualità di quanto Tina aveva capito e scritto nel corso dei tre anni di lavoro alla Presidenza della Commissione: la realtà italiana odierna rimanda sempre più al progetto di Gelli e quei settecento foglietti ci aiutano in modo sorprendente a svelare le radici dell’attuale situazione del nostro Paese. Del resto Tina in tutti questi anni ha continuato a ripetermelo: “Attenzione, quello ritorna”. Non so se si riferiva a Gelli o al suo progetto».

 

     Dottoressa Vinci, perché Tina Anselmi appuntò furiosamente tante riflessioni, circostanze, fatti nel corso di quei tre anni?

     «Aveva a che fare non solo con le audizioni, ma anche con le carte che venivano dalle Procure. Voleva documentare il suo lavoro perché temeva – e il timore era fondato – che il lavoro suo e dei commissari non venisse preso in considerazione. Scriveva per lasciare tutto “a futura memoria”. Quello che le è passato sotto gli occhi in quei tre anni era colossale. Come lei stessa l’ha definito, nel suo discorso del 9 gennaio 1986 alla Camera dei Deputati, la P2 è stata il “tentativo sofisticato e occulto di manipolare la democrazia”, di svuotarla dal suo interno rendendo l’Italia un Paese solo apparentemente democratico. Insomma, un vero e proprio piano eversivo».

 

     L’onorevole Anselmi ha dichiarato, proprio al nostro settimanale in un’intervista del 25 maggio 1984: “Questi tre anni sono stati per me l’esperienza più scovolgente della mia vita. Solo frugando nei segreti della P2 ho scoperto come il potere, quello che ci viene delegato dal popolo, possa essere ridotto a un’apparenza. La P2 si è impadronita delle istituzioni, ha fatto un colpo di Stato strisciante. Per più di dieci anni i servizi segreti sono stati gestiti da un potere occulto”. È per essere andata fino in fondo che poi ne ha pagato il prezzo politico?

     «Sì. Quando le hanno proposto di diventare Presidente della Commissione, ha accettato perché è una donna coraggiosa. E la sua conduzione, nei tre anni seguenti, è stata un esempio di dirittura morale e onestà profonda. Anche se capiva che il “non fare sconti a nessuno” avrebbe comportato un duro prezzo. E l’ha pagato. Da allora è stata “fatta fuori” politicamente. È stata emarginata».

 

     Quello che Tina Anselmi ha scoperto non era solo il tentativo di svuotamento della democrazia…

     «No, infatti. C’erano anche le implicazioni con la strage di Bologna, con l’attentato dell’Italicus, con il caso-Moro, con il caso-Sindona, le relazioni con la mafia e la banda della Magliana. E con tanti altri episodi oscuri e inquietanti della storia italiana. Emergeva un cono d’ombra comune, che aveva la sua matrice nella P2 di Licio Gelli».

"Basta una sola persona che ci governa ricattata o ricattabile, perché la democrazia sia a rischio"

Lei, dottoressa, nel ripercorrere quei foglietti e le vicende ad essi collegati, cosa ne ha tratto?

 

     «Mi ha colpito la mancanza di senso dello Stato, l’irresponsabilità. “Mi sono iscritto, ma non credevo… non sapevo…” Questo lo dicevano in tanti. È lo spaccato di un’intera classe dirigente che non si capisce quanto fosse incompetente o truffaldina. Dal libro emerge non tanto un giudizio politico ma la pochezza degli uomini. Gelli riceveva all’Excelsior. Non era lui che andava a trovare i politici. E tanti nomi degli iscritti alla lista P2 sono ancora in piena attività».

 

     Nel libro si fa riferimento anche al fatto che a un certo punto fu proposto di sentire in audizione anche Silvio Berlusconi, anch’egli presente nelle liste…

     «Sì, ma come scrive Tina, la Commissione decise di no, perché in quel momento storico fu considerato un personaggio secondario. Allora, era soltanto un giovane imprenditore milanese».

È vero che l’Anselmi sottolinea questo senso d’impunità che manifestavano gli iscritti alla P2?

     «C’è spesso questa ostentazione di “intoccabilità”. Un esempio? Quando viene scoperta la lista a Castiglion Fibocchi, uno degli investigatori, il colonnello Vincenzo Bianchi della Guardia di Finanza viene avvertito di chiamare il Comandante generale del Corpo. Il quale, in sintesi, gli dice: “So che hai trovato gli elenchi. Ci sono anch’io. Non me frega niente. Ma sappi che là ci sono tutti i massimi vertici”. Messaggio chiaro, no?».

 

     Ci furono mai contatti fra Licio Gelli e Tina Anselmi?

     «Gelli tentò di avere un’occasione d’incontro, l’anno scorso, tramite un intermediario. Tina rifiutò».

 

     Tina Anselmi, una donna, si trovò a indagare in uno dei mondi più esclusivamente maschili, qual è quello della massoneria. È stato un valore aggiunto o un limite?

    «Un valore aggiunto. Non se l’aspettavano la tenacia e il rigore di Tina. Quel mondo si è trovato spiazzato. Nella vicenda P2 non ci sono donne, in queste pagine non emergono donne. È una vicenda tutta al maschile. Questo mi porta a dire che, allora come oggi, al nostro Paese manca l’apporto del talento delle donne».

 

     C’è una figura, fra le tante, che l’ha particolarmente inquietata?

    «Francesco Cossiga. Appena divenne Presidente della Repubblica scrisse alla Anselmi. Era ossessionato dai vecchi rapporti con Gelli. Come scrive il magistrato Giovanni Turone, all’epoca titolare dell’inchiesta (con Gherardo Colombo) che portò alla scoperta della P2, Cossiga è una delle persone più inquietanti del nostro dopoguerra».
   Perché, secondo lei, è importante leggere oggi di una vicenda di 30 anni fa?

   «Tina diceva che una delle tragedie dell’Italia è che non abbiamo la memoria condivisa. Lei aveva cercato di ricomporre un puzzle che ci ha lasciato, perché non si dimentichi e perché non si ripeta. Il libro è in fondo un atto d’accusa della situazione in cui siamo caduti. Il declino andava fermato allora. Tina aveva compreso una cosa molto importante. Scrisse in uno dei suoi appunti: “Basta una sola persona che ci governa ricattata o ricattabile, perché la democrazia sia a rischio"».

 

     Una questione molto attuale. Lei è pessimista?

«No. Vinceremo noi, alla fine, non i piduisti».

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