E adesso chi glielo dice alla Donna della domenica che
l'americanista Bonetto è andato in paradiso? Lui e tutta la Torino passata e
passata alla storia anche in quelle pagine di giallo ironico e lieve, come
sempre era la scrittura di Fruttero e Lucentini: dove il Balùn poteva essere il
centro del mondo e dove si poteva ridere alle lacrime quando l'americanista
suddetto si peritava di tradurre nell'improbabile inglese dust-catcher,
l'impareggiabile piemontese ciapapùer, alla lettera "acchiappapolvere", "soprammobile",
colto nella sua ontologica inutilità.
Se ne va Fruttero, a 85 anni, dopo 10 di
"vedovanza" letteraria da Franco Lucentini, e 6 di scrittura solitaria.
Ci mancherà, ma non è difficile immaginare la perfetta letizia di quelle
quattro mani, felicemente unite in letteratura come poche volte accade, che si
ricongiungono tra le nuvole: di nuovo Fruttero&Lucentini, tutta una parola,
come sono stati per una vita, anzi per due vite, e saranno per sempre.
Con Lucentini che, come diceva Fruttero in un
ricordo recente "voleva tutto sotto controllo dall'inizio". E Fruttero,
invece, che voleva stupirsi. Il romanzo nasceva dal compromesso cui arrivavano:
ciascuno scriveva il suo pezzetto e poi si correggevano a vicenda, tante volte,
finché quel canovaccio trovava pace, opportunamente organico e insieme capace
di stupire, in un romanzo finito.
Come
Fruttero e Lucentini da stasera ritrovano pace nella schermaglia di un romanzo
che comincia. Un romanzo infinito, lieve e capace di sorriso.
Carlo Fruttero, scomparso all’età di 85 anni nella sua casa
di Castiglione della Pescaia, era la metà più sorniona e corrosiva del duo
letterario per decenni intrattenuto con Franco Lucentini.
Entrambi dotati di una
curiosità onnivora per la letteratura, anche di genere (diressero insieme la
collana di fantascienza Urania), e di un patrimonio di letture in pratica
sconfinato, costituivano per qualunque intervistatore una vera lezione di modestia. Chi scrive li incontrò tre volte: nell’appartamento di Lucentini, affacciato
sulla magnifica piazza torinese che introduce al Po, al vecchio Biffi Scala, in
casa editrice. E andava sempre allo stesso modo. Lucentini parlava del libro,
della storia, ti circondava con un mare di riferimenti dotti e curiosi ai quali,
ovviamente, non avresti pensato mai. Faceva gioco, insomma. Fruttero
piazzava la battuta fulminea, l’osservazione spiazzante. Andava in porta,
rapace.
Narra la leggenda che si fossero conosciuti per caso a
Parigi, nei primi anni Cinquanta, solo perché stavano nello stesso hotel. E che
dovettero passare altri anni prima che si scoprissero affini e capaci di
scrivere insieme. Fatto sta che insieme scrissero per più di quarant’anni. Un patrimonio
di articoli e saggi, e molte opere di narrativa, curiosamente arrivate dopo una
prima prova, nel 1971, consacrata alla poesia: L’idraulico non verrà.
Nel 1972 era già clamoroso successo, con La donna della domenica, per proseguire con La cosa in sé (1982), Il palio delle contrade morte (1983), A che punto è la
notte (1985), L’amante senza fissa dimora (1986) e il formidabile La prevalenza
del cretino (1986), antologia ironica dei vezzi e vizi di quella che allora
era “l’Italia da bere”.
Non conta nulla ma chi scrive si salvò da un attacco di
depressione grazie a quel libro: confinato per tre giorni in una brutta città
che sarà meglio non nominare, solo, alle prese con un servizio noioso e forse
anche inutile, lo lessi in una notte, rovesciandomi nel letto per lo spasso e
per il gusto di vedere quei due signori, così distinti e compunti, due grandi
borghesi insomma, dire le cose (giustissime cose) che sembrava così
rivoluzionario dire.
Lucentini se n’era andato nel 2002, suicida. Malato di
tumore ai polmoni, si era lanciato nella tromba delle scale di quel signorile palazzo
vicino al Po, e tutti avevano ricordato Primo Levi. Fruttero, perso il compagno
di una vita e di una letteratura, non aveva smesso di scrivere, come sempre
benissimo.
Nel 2006, con Donne informate sui fatti, era arrivato in finale al
Premio Campiello. Nel 2010 aveva pubblicato il suo ultimo libro, anzi gli ultimi due:
Mutandine di chiffon, con i ricordi di una vita; e La patria, bene o male,
scritto con Massimo Gramellini e dedicato all’unità d’Italia. Oggi, discreto
come sempre, se n’è andato anche lui. E come Lucentini ci mancherà tanto.