Annamaria Furlan durante un incontro tra sindacati e governo Conte
«In un Paese che vive da mesi una condizione tragica sia sul fronte sanitario che su quello economico, il vaccino rappresenta un segnale di speranza. Ma occorre anche un “vaccino” economico e sociale per risollevare il Paese. Come avvenne nel Dopoguerra». Annamaria Furlan, segretaria generale della Cisl, paragona, senza giri di parole, la delicata situazione che l’Italia sta attraversando dopo un anno di pandemia, al 1945, quando il Paese dalle macerie iniziò la Ricostruzione. E denuncia incertezze, ritardi e immobilismo dell’esecutivo su troppi fronti: a iniziare dall’apertura delle scuole, al potenziamento della sanità pubblica. “Non ci saranno tempi supplementari”, dichiara. Il sindacato, intanto, ha appena presentato un pacchetto di 10 “azioni strategiche” per far ripartire l’Italia, da discutere col governo Conte. Crisi permettendo.
-Che Paese le appare davanti? Piegato ed impaurito dalla crisi e dal covid? Resiliente? Rabbioso?
«Abbiamo perso oltre 500 mila posti di lavoro, il livello di povertà è aumentato in maniera grave in tutte le regioni, sono cresciute le diseguaglianze sociali, il divario tra le aree più ricche del Paese e quelle più fragili. C’è un sentimento diffuso di preoccupazione che si lega anche alle evidenti difficoltà di tante imprese, con tanti lavoratori in cassa integrazione, tante famiglie senza sostentamenti. E’ chiaro che il vaccino rappresenta un segnale di speranza per tutti, come ha detto anche Papa Francesco. E per questo, a mio parere, le istituzioni dovrebbero legiferare subito per renderlo obbligatorio ed anche le parti sociali devono favorire la sua diffusione in tutti i luoghi di lavoro. Ma occorre anche un vaccino economico e sociale per risollevare il Paese. Un grande piano per la crescita, lo sviluppo ed il lavoro che, come avvenne nel dopoguerra, veda le istituzioni e le parti sociali uniti in questa stagione complessa come “costruttori” del futuro, come ha indicato il Capo dello Stato Mattarella».
- Il Cnel ha sottolineato proprio nei giorni scorsi che la crisi conseguente alla pandemia ha colpito 12 milioni di lavoratori tra dipendenti ed autonomi. Il mancato rinnovo dei contratti ha riguardato 10 milioni di lavoratori (77,5%). E adesso, sottolinea il Consiglio, con la fine del blocco dei licenziamenti e tante vertenze da tempo aperte la situazione potrebbe diventare “esplosiva”. Che fare per evitare una crisi ancor più grave ed un declino disastroso del sistema-Paese?
«L’allarme lanciato dal Cnel non va sottovalutato. Da un lato, ci sono troppi ritardi nella stipula di tanti contratti privati e pubblici, nonostante il sindacato abbia sempre dimostrato un grande senso di responsabilità nelle piattaforme contrattuali. Dall’altro lato, la fine del blocco dei licenziamenti è ormai dietro l’angolo, ma ancora non si intravedono né la riforma degli ammortizzatori né quali interventi il Governo vuole mettere in campo sulle politiche attive del lavoro, sulla formazione e la necessaria crescita delle competenze digitali. Ma l’incertezza regna in tutti i campi a partire dalla riapertura delle scuole in presenza, su come rafforzare la sanità pubblica dopo tanti anni di tagli, sulle politiche specifiche per il Mezzogiorno, la messa in sicurezza del territorio, l’inclusione sociale, il sostegno alla non autosufficienza. Sono tutti problemi seri del paese. Il lavoro e la coesione non si creano con i decreti, ma con gli investimenti, difendendo gli asset strategici della nostra industria e dei nostri servizi, dal manufatturiero al commercio, dal turismo alla cultura, dall’agroalimentare all’artigianato».
-Avete chiesto un confronto vero col Governo, ma dopo i proclami di Conte non sono ancora seguiti i fatti. Lei ha affermato che se il Governo avesse aperto un dialogo vero col sindacato avremmo evitato tante lacune ed incongruenze. A quali errori si riferisce?
«Finora è mancato un vero confronto con il Governo per discutere di un “progetto Paese” che va costruito insieme alla parti sociali attraverso la condivisione non solo degli obiettivi ma anche degli strumenti da mettere in campo con le risorse del Recovery Fund. Se il Governo avesse scelto la strada della concertazione e di un patto sociale, fin dal varo della Legge di Bilancio, probabilmente non ci troveremmo in questa condizione di confusione e di instabilità ed avremmo evitato gli errori che sono stati commessi in molti provvedimenti dell' Esecutivo: penso per esempio alla questione delle risorse insufficienti per il rinnovo dei contratti pubblici o alla mancanza di assunzioni stabili di personale nella sanità. Siamo in una condizione di sostanziale immobilismo nella selezione delle priorità e dei progetti su cui bisogna oggi puntare. Una condizione che il Paese non può permettersi oggi vista la catastrofe che stiamo vivendo».
-Recovery Fund: cosa chiede in sintesi il sindacato?
«Non possiamo sprecare l’occasione storica del piano europeo per la crescita. E’ una inversione di rotta decisiva rispetto agli anni di rigore economico che abbiamo vissuto nell’ultimo decennio. Ma siamo in grave ritardo. Ecco perché la Cisl ha messo nero su bianco un piano dettagliato di interventi in dieci punti per una “governance partecipata” dalle parti sociali per dare rapidità, continuità e consenso ai progetti. Occorre ripartire dal lavoro, dall’istruzione e formazione delle nuove competenze, investire nella sanità pubblica, colmare il divario tra Nord e Sud, sbloccare e portare a termine le infrastrutture. E poi puntare sull’innovazione, sulla green economy, sulle pari opportunità, sulla riforma della Pubblica Amministrazione. Occorre soprattutto un patto generazionale per garantire equità e solidarietà. Le parti sociali devono essere pienamente coinvolte nella selezioni degli obiettivi, nel monitoraggio condiviso dei progetti, nell’attuazione concreta delle scelte per evitare la dispersione e la polverizzazione degli interventi. Non avremo tempi supplementari perché l’Europa non ci darà una seconda chance. Le parti sociali devono essere presenti e parti attive, perché la storia ci dimostra che non possiamo dare deleghe in bianco sulle questioni che riguardano i temi del lavoro, dell’occupazione, della digitalizzazione, dello sviluppo».
-Un vero piano di ripresa del Paese che cosa non può non comprendere?
«Io penso che dobbiamo ripartire in primo luogo dalla scuola e dalla formazione, colmando i ritardi con l’Europa in termini di spesa, competenze, numero di laureati . Ma soprattutto è necessario innovare il nostro modello formativo, con una riforma che abbracci tutta la filiera: dalla scuola, all’università, alla riqualificazione professionale. Dobbiamo puntare sulle competenze digitali ma con un apprendimento continuo e permanente. Poi ci sono i ritardi inaccettabili sullo sblocco delle infrastrutture e sulla scelta dei commissari, con una mancanza finora di visione generale da parte del Governo, frutto anche dei veti incrociati e di speculazioni politiche sulle scelte da intraprendere sul futuro del Paese, come dimostra la vicenda stucchevole del Mes sanitario».
-Avete accusato il Governo di non avere una visione, una strategia per questo Paese. Sulle tre grandi questioni nazionali: donne, giovani, Sud cosa si dovrebbe fare concretamente?
«E’ uno dei temi centrali del nostro documento. Va sbloccato l’ascensore sociale che in Italia porta migliaia di cervelli ad emigrare. Oggi è prioritario contrastare il divario occupazionale tra Nord e Sud, tramite sgravi contributivi per le imprese che assumono stabilmente giovani e donne. Bisogna accelerare il completamento delle opere pubbliche ferme: non è un caso se fra le 610 opere pubbliche incomplete, il 70% si trova al Sud. Una vergogna. E poi dobbiamo premiare il merito non il genere, rinforzare i servizi all’infanzia, incoraggiare il welfare contrattuale per conciliare meglio vita e lavoro. Promuovere un cambiamento culturale che ridefinisca il ruolo della donna».
-La politica dei “bonus” è utile o dissipa risorse, secondo lei?
«Può essere una prima risposta ai problemi delle famiglie in difficoltà, ma abbiamo bisogno di riforme strutturali, a partire da una vero ridisegno del sistema fiscale, per redistribuire con più equità la ricchezza in questo Paese. E’ una scelta non più rinviabile, perché il fisco è lo strumento principale per favorire la crescita, per sostenere le famiglie più deboli, premiare chi investe in innovazione, nuove tecnologie, qualità dei prodotto, economia verde».
-Smart working: opportunità per il futuro. Ma la legislazione attuale è adeguata?
«Noi pensiamo che il lavoro agile sia una opportunità per migliorare le condizioni del mondo del lavoro. Ma bisogna riconsegnare questa materia alla contrattazione. Bisogna dotare i lavoratori non solo degli strumenti informatici ma anche di quelle competenze che spesso si sono costruiti da soli. Bisogna garantire il diritto alla disconnessione, con una declinazione corretta ed appropriata per le diverse realtà produttive. Il lavoro è anche socializzazione, comunione con gli altri. Il fattore umano deve restare centrale in ogni realtà produttiva, pubblica, privata, nei servizi al cittadino. La persona ed il lavoro sono per noi un binomio indissolubile. Non dimentichiamolo mai».
-Al di là delle specifiche questioni sindacali, più in generale, oltre al pieno coinvolgimento di tutte le componenti sociali, cosa è necessario per inaugurare la “stagione dei costruttori”?
«Io penso che oggi ci sia una distanza siderale tra il mondo reale ed il dibattito della politica. Ogni giorno ci sono centinaia di persone che muoiono nei nostri ospedali, siamo arrivati quasi a 80 mila morti, eppure non ne parla nessuno, c’e’ una sorta di indifferenza, tanto cinismo anche in chi ha responsabilità politiche. C’e’ una bomba sociale che rischia di esplodere ma non vediamo quella necessaria politica di concertazione , come avvenne negli anni Novanta, che invece servirebbe più che mai oggi al Paese. Noi pensiamo che bisogni tornare ad occuparsi dei problemi concreti delle persone e delle famiglie italiane cosi segnate da questa tragedia immane, con responsabilità, coesione sociale, concretezza degli interventi. Basta con questo clima continuo di polemiche, di conflittualità che spesso sfocia nei social network in campagne pericolose ed antistoriche come quella dei no-vax. Questo, credo, sia il messaggio forte del Presidente della Repubblica Mattarella nel suo appello ai 'costruttori' in questa stagione difficile. E’ un richiamo al senso di responsabilità comune per aprire una fase in cui abbiamo bisogno di grande unità e collaborazione, per una maggiore giustizia sociale e garantire pari opportunità e condizioni di progresso e crescita civile a tutti».
-Sono giorni decisivi per la tenuta dell’esecutivo. E se cadesse i Governo Conte? Sciagura, come dicono in molti? E cosa vedrebbe meglio: un Conte “due bis” o “ter”, un Governo di “unità nazionale”, o il ritorno alle urne?
«Io mio occupo esclusivamente di sindacato e non mi avventuro in alcuna previsione. Io penso che tocchi alle forze politiche fare chiarezza e sciogliere i nodi della guida del Paese, con senso di responsabilità e soprattutto con rapidità di scelte, come saggiamente ha ripetuto il nostro Presidente della Repubblica Mattarella che rimane per tutti gli italiani un punto di riferimento costante, un esempio di moralità ed una delle poche voci limpide e coerenti nella confusione che regna».
-Infine, le chiederei il coraggio di un’autocritica e il riconoscimento di un merito: se dovesse indicare una questione sulla quale il sindacato italiano avrebbe potuto o dovuto fare di più, o in modo diverso, in questo delicato periodo di crisi pandemica? E invece quale merito attribuirebbe al sindacato?
«Io penso che il sindacato abbia tutelato il lavoro in questi mesi, battendosi per avere fin dall’inizio della pandemia più sicurezza nei luoghi di lavoro ed assicurare la tutela del reddito e degli ammortizzatori sociali ai lavoratori. Non è stato certo facile. Ma dobbiamo fare di più per tutelare anche tanti lavoratori e lavoratrici che sono ancora esclusi dagli ammortizzatori sociali, anche delle piccole e micro imprese, garantendo ora l’universalità dei sussidi a tutti. E poi bisogna occuparsi del lavoro dei giovani, che sono il futuro del nostro Paese, con un impegno straordinario delle istituzioni e delle parti sociali».