La faccia da schiaffi, il sorriso da discolo e quel tormentone – «Chi è Tatiana?» – che lo ha reso per sempre famoso.
Questo è, nel nostro immaginario, Gabriele Cirilli:
un giullare di corte che l’ha fatta franca a suon di simpatia, ma che è pronto a farti ancora ridere nel prossimo programma tv (l’abbiamo appena visto sul canale Nove a Only Fun e ospite a I migliori anni su Rai Uno). Tuttavia, dietro a quel sorriso sferzante, c’è di più. Molto di più.
Una volta sceso dal palco, Cirilli si rivela infatti un uomo di grande fede che si spende per il prossimo,
«come mi ha insegnato mamma».
I suoi impegni sociali sono numerosi tanto quanto quelli in tv: è stato protagonista della campagna di raccolti fondi di Amref, da anni milita in prima line come testimonial, per i City Angels e ha anche messo in piedi La Factory, ossia una scuola di alta formazione professionale per attori e lavoratori dello spettacolo, senza limiti di età.
Come si è avvicinato alla fede?
«È merito dei miei genitori. Mio papà era un uomo tanto buono: è un peccato, davvero, che non ci sia più perché il mondo ha bisogno di persone di cuore come lui. Mia mamma poi è stata una credente vera, ma non a parole: nella praticità, nell’esercizio stesso della vita. È una che si è sempre data al prossimo: è stata nella Croce Rossa, ha lavorato per il Movimento per la vita e pure al Tribunale per il malato. Pensi che, nei suoi ultimi giorni di vita, quando era in ospedale aveva chiesto al medico: “Dottore, senta, dice che posso uscire per sabato che ho il Banco Alimentare?».
Quindi è stata la loro testimonianza a fare la differenza?
«Sì, insieme a quella di padre Egidio. Lo conobbi in oratorio, quando ero giovane, e da lì non l’ho più lasciato: lui è stata una luce per me, lo considero il mio secondo padre. Ormai è morto, ma è stato lui ad avermi dato la Comunione, cresimato, sposato, ha pure battezzato mio figlio e ha celebrato i funerali dei miei genitori. È stato sempre presente nella mia vita. Di lui mi piaceva la sua semplicità: credeva, senza remore. Se gli domandavi perché Dio esiste, lui ti guardava stupito dicendo: “Perché è così!”».
E lei, invece, ha mai avuto dubbi?
«La fede mi ha sempre accompagnato, aiutandomi sia nei momenti bui, sia in quelli felici. Tra l’altro io ho un carattere particolare: passo da 100 a zero e ci sono stati dei momenti dove ero a zero… ma proprio zero,zero! Eppure non mi sono mai sentito abbandonato da Dio, anzi ho sempre sentito una forza accanto a me.
È chiaro che la fede non è qualcosa di intangibile ma nemmeno l’amore, o gli altri sentimenti, possono essere toccati, però ci sono: li senti. Inoltre cerco di fare come mia madre: di aiutare il prossimo. Desidero mettere la mia popolarità al servizio di chi ha bisogno. Anche il laboratorio teatrale nasce con questo slancio: per me è una missione. Non ci guadagno nulla, perché non avendo sovvenzioni e contributi reinvesto tutte le quote delle iscrizioni versate».
Cosa vuole insegnare ai suoi allievi?
«A puntare alla luna: male che va, finisci tra le stelle. Se riuscissi a portare qualche talento alla ribalta, sentirei di aver vinto. Inoltre voglio insegnare la comicità umana: quella rispettosa, che non offende nessuno».
Visto come va il mondo, non si sente però un po’ sconfortato?
«In questo momento sembra quasi che il male stia prevalendo. Tuttavia è come in una partita di calcio: l’andata per ora ci dà in svantaggio ma c’è ancora tutto il girone di ritorno da giocare. Sono convinto che alla fine il bene avrà sempre la meglio».
Cosa la rende così ottimista?
«L’amore è un sentimento talmente importante che non può essere scambiato con l’invidia, l’odio, la vendetta, l’arroganza e gli altri brutti sentimenti che rendono triste l’esistenza».
Che cosa l’affascina del messaggio cristiano?
«Mi piace quest’idea che tutte le persone, persino quelle cattive o lontane da Dio, hanno una possibilità. Non importa se si sbaglia o se si è imperfetti: Dio ci sceglie comunque e ci ama. Quello che conta è che ci si renda conto di essere in difetto e si riparta. La santità stessa non vuol dire essere impeccabili: non esiste una cosa del genere. Persino il Papa non è irreprensibile: è umano, e lo è in un modo così vero da risultare profondamente cattolico. A proposito della Chiesa: anche a lei è importante dare una seconda possibilità!
La Chiesa è un’istituzione molto importante ma è fatta di uomini che sono “immancabilmente manchevoli”. Si dice peccato originale proprio per sottolineare che è in ognuno di noi. Quindi è normale che si facciano degli errori, l’importante è riconoscerli e superarli».
A proposito di imperfezioni, lei a nasce teatro, studiando da Gigi Proietti e misurandosi con Brecht, ma poi è esploso, mediaticamente, a Zelig al grido di «Chi è Tatiana?». È andata bene così o si immaginava un altro tipo di carriera?
«Sono felice di come è andata. Nella vita ci sono delle cose che bisogna, purtroppo, accettare. Quando ho iniziato con Gigi Proietti, a teatro, ambivo a dei ruoli, come quello di Romeo, che non potevo fare: ho una fisicità più da caratterista. Non sono il Riccardo Scamarcio o il Kim Rossi Stuart della situazione… Ho cercato quindi di puntare su altre mie caratteristiche. Ho capito di essere simpatico e ho messo l’ironia al servizio del mio lavoro».
Sbaglio o anche l’amicizia ha fatto la differenza nella sua vita?
«Assolutamente. Devo tantissimo a Carlo Conti che mi ha chiamato per Tale e quale show e in molte sue trasmissioni. C’è chi è raccomandato e chi invece, come me, ha un buon amico che crede in lui».
Quali sono i suoi prossimi progetti?
«Sarò a teatro, quest’estate, con lo spettacolo Nuntereggaepiù. Inoltre sto lavorando al mio primo libro autobiografico: Ciri rider. L’idea me l’ha data mio figlio: lui è molto bravo, si sta per laureare ed è un gradino sopra di me. Ecco, un giorno mi ha detto che si divertiva ad ascoltare i miei racconti e quindi mi suggeriva di trasformarli in un libro. Ho seguito il suo consiglio».
Di Francesca D’Angelo