Il brutale ridimensionamento numerico della presenza cristiana nei luoghi natali di Gesù può configurarsi come un paradosso, o se volete un mistero della fede: stiamo parlando della religione più diffusa del pianeta che si ritrova quasi estirpata dal suo luogo d’origine. Può suonare a riconferma, per chi lo voglia, del fatto che i seguaci del Cristo sono sempre un po’ stranieri in questo mondo. Di certo è un monito salutare per tutti quei manipolatori che nei secoli hanno preteso esistesse una terra esclusivamente cristiana, o musulmana, o ebraica, o di qualunque altra confessione.
So che alcuni dotti hanno cercato un significato provvidenziale alla rapida conversione all’islam di intere popolazioni già cristiane, nei due secoli successivi alla predicazione del Profeta. Che sia stato l’esito di una grave deviazione delle Chiese orientali dell’epoca? Più complesso ancora, dal punto di vista teologico, è accettare che il mistero della persistenza ebraica lungo diciannove secoli di dispersione, con un repentino colpo di scena, abbia generato il massiccio ripopolamento giudaico della Palestina storica: i nostri antenati avrebbero ritenuto impensabile che in tale regione il numero degli ebrei tornasse a superare di gran lunga la presenza dei battezzati.
Quest’ultimo evento consentirà forse ai cristiani di avere fiducia in un domani che sovverta l’incubo della sparizione da cui oggi in tanti si sentono afflitti. Come già ai tempi dei califfi, sono minacciate di scomparsa Chiese in genere compromesse col potere (anche se a pagarne il tributo sono sacerdoti eroici e fedeli innocenti). Ma la storia, oltre che la fede, ci insegnano che non è mai detta l’ultima parola.