Se ne va, non subito perché non sarebbe elegante farlo prima dell’incontro con l’Ajax, gli parrebbe uno sgarbo alla squadra che «tiferà» - parole sue - «tutta la vita». Anche se vox populi vuole che non la tifi da tutta la vita, antichi scatti di metà anni Ottanta lo ritraggono in tribuna vip accanto ad Agnelli e Boniperti, mentre dà segni di disappunto per un errore degli degli juventini. Insomma leggenda vuole che in un lontano passato nel suo petto abbia battuto cuore bianconero.
Ma non sarebbe il primo né l’ultimo a cambiare bandiera, i calciatori lo fanno a ogni stagione e ogni volta giurano sulla nuova maglia di averla sognata fin da bambini. Meglio non sottilizzare, il calcio delle bandiere è acqua passata. Gli affari sono affari. Classe 1944, Adriano Galliani, già contitolare di un’azienda che si occupa di apparecchiature per la ricezione di segnali Tv, nel 1979 partecipa alla nascita di Canale 5. Passa al Milan, ufficialmente, nel 1986, prima come amministratore delegato e poi come presidente vicario. Ha voce in capitolo nelle scelte del grande Milan dei Baresi e dei Maldini e dal 1994, quando Silvio Berlusconi comincia a mirare ad altre più pesanti presidenze, acquista autonomia di manovra.
Dal 2002 al 2006 è presidente della Lega nazionale professionisti, altrimenti nota come Lega calcio, per gli addetti ai lavori la Lega per antonomasia: non mancano i malumori per il potenziale conflitto di interessi per il duplice incarico dirigenziale della Lega e del Milan, ma anche questo alle nostre latitudini è un male diffuso, dentro e fuori dal pallone e non sarà il calcio a scagliare la prima pietra. Un tempo noto all’ambiente con il soprannome di “squalotto”, Galliani ha attraversato da amministratore delegato l’ultima stagione d’oro del Milan di cui è stato anche artefice, e sono in tanti a riconoscergli capacità nel ruolo.
Dove capacità è abilità, lungimiranza e anche quel tanto di spregiudicatezza che all’ambiente del calcio non dispiace, anche se a parole s’ammanta di valori, tutti sanno che all’atto pratico occorre piegarli alla realpolitik: d’accordo partecipare, ma se vuoi amministrare ti tocca vincere. E Galliani ha saputo vincere non c’è dubbio, il Milan dei suoi anni è stato la squadra bella e vincente dei Sacchi e dei Capello: trionfante come, nel calcio contemporaneo, lo diventano solo le squadre che sanno coniugare il naso di chi fiuta i talenti e li amministra, con il patrimonio di chi deve metterci i soldi.
Galliani ha lasciato la presidenza della Lega nell’estate 2006 in piena bufera Calciopoli, con il Milan penalizzato e Galliani squalificato, ma non a lungo, dalla Corte federale. E’ memoria che dura lo spazio di un mattino, come sempre per i malanni del pallone. Il Milan penalizzato ripartirà, tornerà anche a vincere, con Allegri, uno scudetto in cui pochi credevano, con un tecnico inesperto di serie A.
Scommettere sui nuovi e non guardare in faccia i vecchi, sembra la cifra delle ultime stagioni. In tempi di spending review fa discutere la smobilitazione dei campioni: i Gattuso, i Pirlo, insomma le bandiere, resi precari dai contratti annuali. L’anagrafe incombe, ma non a tutti piace che il trattamento non abbia riguardo del cuore del talento. Realpolitik anche questa, troppo rigida – però - per funzionare sempre. Se Gattuso ha chiuso in Svizzera la sua avventura, quando aveva forse davvero dato tutto, i piedi di Pirlo sono ancora i migliori del calcio italiano, come dimostrano le sue performance in Nazionale e alla Juventus. Pirlo che nel suo libro non risparmia critiche a Galliani, forse penserà sorridendo che chi di rottamazione ferisce di rottamazione perisce.
Galliani se ne va perché non si prende con Barbara B. troppo legato forse alla stagione del padre, troppo figlio degli ultimi vent’anni.