Di fronte alla "gelata" dell’Istat sull’occupazione (è tornata a scendere, siamo al 12,7 per cento, peggio per i giovani giovani: il 42,6) il sociologo del lavoro Luciano Gallino, uno dei massimi studiosi della materia, docente all’Università di Torino, frena e invita distinguere. “Non ero ottimista ieri di fronte agli annunci del Governo e dell'Inps sulle nuove assunzioni e non sono pessimista oggi dopo i dati dell’Istat. Tra l’altro è materialmente impossibile che ci sia un legame tra l'ultimo dato congiunturale e le nuove riforme sul lavoro, perché sono troppo recenti non è possibile registrarne gli effetti”, commenta. “La cosa è del tutto indipendente. Anche perché bisogna distinguere. Da un lato c’è la riforma riguardante tutta la normativa sul lavoro, il cosiddetto Jobs Act. Dall’altro un notevole alleggerimento dei contributi che le imprese pagano all’Inps. Si arriva fino a 8 mila e 30 euro: non è certo uno scherzo. Su uno stipendio di 24 mila euro lordi che un imprenditore deve versare ogni anno per mantenere un dipendente, significano un terzo del costo del lavoro. Un incentivo decisamente attraente. Ma questa misura non è prevista dal Jobs Act, bensì dalla Legge di Stabilità, la lgegge finanziaria che riguarda i capitoli di spesa del bilancio dello Stato”. Ma il Jobs Act del ministro del Lavoro Poletti non funziona insieme alla legge di stabilità come un combinato disposto?
“Per favorire questo tipo di assunzioni, con questo tipo di sgravio, ripeto, deciamente sostanzioso, non c’era bisogno della legge di riforma del lavoro del ministro Poletti. Bastava la legge economica del Parlamento”.
Cosa bisognava fare per rimettere in moto l’occupazione?
“Al momento non possiamo ancora bilanciare i costi e i benefici di questa operazione. Ma alla lunga vedremo se questa operazione è veramente un vantaggio. Resta il fatto che un’azienda, soprattutto del settore delle piccole medie imprese, è invogliata ad assumere. Un terzo dei contributi sono davvero uno sconto significativo”.
Il Jobs Act però permette di trasformare la selva dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti. Anche questo è un vantaggio inq uesto caso per il dipendente.
“Le tutele sono crescenti ma il datore di lavoro può licenziare fino al trentaseiesimo mese senza seguire particolari conseguenze. Fino ad allora di indeterminato non c’è proprio nulla: è pura facoltà dell’azienda arrivare ai trentasei mesi, termine oltre il quale scatta il tempo indeterminato, o fermarsi prima. E’ un po’ come se il lavoratore restasse in prova per tre anni. Significa precariato permanente. Vedremo se tra tre anni tutto andrà liscio o, chissèà, ci sarà un’ondata di licenziamenti qualche minuto prima della mezzanotte del terzo anno”.
Le tutele dell’articolo 18 rimanono diritti acquisiti per chi un lavoro a tempo determinato lo ha già. Però ai vecchi lavoratori non conviene cambiare azienda, andando a perdere le tutele. In questo modo non si ingessa il mercato del lavoro?
“No, non credo che sia un rischio. Il mercato del lavoro era già molto “fluido”, per usare un eufemismo, perché siamo dinnanzi, negli ultimi anni, a centinaia di migliaia di licenziamenti collettivi per la chiusura delle fabbriche e delle aziende. Stiamo parlando di almeno un milione di posti di lavoro persi dal 2008. Inoltre negli ultimi anni in generale il 75 per cento delle assunzioni sono avvenute con contratti di breve o brevissima durata. Quindi l’orizzonte non è propriamente roseo. Si tratta di un quadro di permanente insicurezza della condizione lavorativa e delle condizioni dell’occupazione. Quello che ritengo molto grave in questa legge è un altro..."
E quale?
"Il demansionamento previsto dalla legge, a seconda delle necessità riorganizzative dell’azienda, è una faccenda terribilmente grave. Il Jobs Act infatti prevede che un lavoratore possa essere spostato a un’occupazione inferiore dal punto di vista tecnico e organizzativo, persino con il salario ridotto. Un impiegato bancario allo sportello, poniamo, con una certa età e un cospicuo numero di anni di anzianità potrebbe teoricamente essere messo a fare il fattorino per portare la posta da un piano all’altro. Leipensi a una persona che lavora per vent’anni, salle nelal c lassifica impiegatizia e a un certo punto viene riportato a zero, come nel gioco dell’oca. E’ una delle cose più inaudite di questa legge, che tra l’altro va contro l’idea di lavoro dignitoso”.