«Ho le gambe gonfi e e pesanti. È normale, dottore»?
Un italiano su due si rivolge al medico curante per
lamentare un fastidio agli arti inferiori, che d’estate
si accentua per colpa di un riflesso nervoso: le vene si dilatano
per disperdere calore e abbassare la temperatura centrale del
corpo, provocando spesso una sensazione di aff aticamento,
fragilità e talvolta crampi notturni.
A causare il problema è un difetto di circolazione, solitamente legato a una
questione di ereditarietà, ma anche all’età, al sesso (le donne ne sono più colpite
rispetto agli uomini), al sovrappeso, ai cambiamenti ormonali e a numerose
abitudini di vita, come la scarsa attività fisica.
Ma il problema è legato pure a talune
professioni che costringono a stazionare
per molto tempo in piedi oppure
seduti.
«In una condizione di normalità, le
vene riportano il sangue dai piedi verso
il cuore operando una forza contraria
a quella di gravità: per dirigere il flusso
verso l’alto, sono provviste di speciali
valvole che lavorano come un sistema
di sbarramento», spiega il dottor
Mirko Menegolo, specialista in Chirurgia
vascolare ed endovascolare presso
l’Università degli studi di Padova. «Se
qualcosa ostacola questo percorso fisiologico, le vene diventano incontinenti
e si possono creare dei ristagni di
sangue nelle parti più declivi del corpo,
a partire da piedi e caviglie». Ecco allora
che compare il gonfi ore agli arti inferiori,
sempre da indagare, soprattutto
quando si sommano anche altri sintomi,
come problemi cardiaci, dolore,
prurito e formicolio.
Le calze elastiche sono importanti
Sin dalle prime avvisaglie di patologia
venosa, le calze a compressione graduata
sono essenziali per prevenire
l’evoluzione degenerativa della malattia
e tutte le sue complicanze. «Se d’inverno
si portano con maggiore facilità,
è soprattutto d’estate che andrebbero
indossate regolarmente, visto che
le temperature elevate accentuano la
sintomatologia», raccomanda Menegolo.
Si tratta di calze dove la massima
pressione viene esercitata alla caviglia
per poi diminuire man mano che si sale
verso la coscia, favorendo la risalita
del sangue verso l’alto. Per scegliere la
corretta compressione (espressa in millimetri
di mercurio, mmHg), è necessario consultare uno specialista evitando
così di acquistare un prodotto non
adatto e talvolta anche dannoso per la
stessa circolazione.
Ma ovviamente esistono
anche altre regole d’oro per mantenere
in salute le gambe, prima di arrivare
alle condizioni più estreme.
-
Praticare ogni giorno una moderata
attività sportiva. Non è necessario
iscriversi in palestra, piscina o altre
strutture sportive, perché è suffi ciente
camminare almeno un’ora al giorno a
passo sostenuto.
Privilegiare i cibi che aiutano il
microcircolo venoso.
-
Portare regolarmente
in tavola frutta e verdura, specialmente
fragole, mirtilli, uva, ananas,
banane, ma anche cereali integrali. Al
contrario, evitare i regimi alimentari
troppo calorici e abbondanti, limitando caffè e alcolici.
- Non restare in piedi per periodi
troppo prolungati. Se la postura non
può essere evitata, eseguire di tanto in
tanto piccoli movimenti di sollevamento
dei talloni o brevi tratti di cammino
da fare in punta di piedi.
- Non esporsi al sole oppure a fonti
di calore diretto. Quanto più possibile,
va evitata l’esposizione prolungata
a stufe, termosifoni, termocoperte, ma
anche saune, sabbiature, fangoterapia
e depilazioni con cerette calde.
- Di notte, su le gambe. Durante il riposo
notturno, sopraelevare gli arti inferiori
di circa 15-20 centimetri rispetto
al cuore, alzando la base del letto.
Se non viene trattata nella maniera opportuna,
la malattia venosa cronica –
generata dal malfunzionamento valvolare
– può aggravarsi con il passare del
tempo e determinare l’insorgenza non
solo di varici sempre più evidenti, ma
anche di ulcere agli arti inferiori. «Oltre
a rappresentare un problema estetico,
le vene varicose possono condizionare
in molti modi la qualità di vita
del paziente», commenta la dottoressa
Adriana Visonà, presidente della Società italiana di angiologia e patologia
vascolare (www.siapav.it).
Fra le modificazioni visibili ci sono
quelle che interessano la pelle, che diventa
secca e squamosa oppure umida
e appiccicosa, talvolta con la formazione
di macchie marroni che, in alcuni
casi, si allargano ai tessuti circostanti.
In alcuni soggetti, si verificano poi eczemi,
sanguinamenti, ipodermiti (aree
cutanee più o meno estese, arrossate,
dolenti e indurite) e talvolta anche ulcerazioni,
soprattutto in seguito a piccoli
traumi, che hanno una guarigione
lenta e presentano un elevato rischio di
infezione.
«Ma la complicanza più grave è sicuramente
la formazione di un coagulo di
sangue, detto trombo, che ostruisce la vena e provoca una trombosi venosa
superficiale, riconoscibile dall’indurimento
e dall’arrossamento del tratto varicoso,
oltre che da calore e dolore», specifica
Visonà. «Quando sono in teressate anche
le vene profonde, quelle vicine alle arterie
che portano lo stesso nome, si parla di
trombosi venosa profonda: rispetto a quella
superficiale, il pericolo sta nella maggiore
possibilità che il trombo raggiunga le arterie
polmonari, causando un’embolia».
Gli esami non sono invasivi
Generalmente, la diagnosi delle varici è di
tipo clinico: il paziente è posto in piedi e
ne viene esaminato l’intero arto, sia anteriormente
sia posteriormente, mediante
l’osservazione della gamba e la palpazione
delle vene. A completare la visita sono poi
gli esami strumentali, in particolare l’Eco-
ColorDoppler, simile a un’ecografia che,
grazie all’utilizzo degli ultrasuoni, consente
la visualizzazione delle vene fornendo
informazioni preziose sulla forma e sul
flusso sanguigno al loro interno.
E la terapia? Non esiste quella migliore
in assoluto, ma la più valida per
il singolo paziente.
Negli ultimi anni,
sono stati compiuti enormi progressi
nella ricerca di metodi sempre meno
invasivi e sempre più efficaci. Se l’intervento
tradizionale è la safenectomia,
che consiste nell’asportazione definitiva
delle varici attraverso due piccole
incisioni (la prima all’inguine per la
grande safena o dietro il ginocchio per
la piccola safena, la seconda sulla gamba),
la medicina ha messo a punto anche
un approccio meno aggressivo per
ridurre il disagio postoperatorio.
Più confortevole e con tempi di
guarigione più rapidi è, per esempio,
l’ablazione della safena mediante laser
o radiofrequenza: attraverso una sola
incisione e sotto controllo ecografico,
vengono inserite delle sonde che, liberando
energia, danneggiano la parete
interna della vena finendo per occluderla
e pertanto eliminarla dal circolo.
Stesso obiettivo è quello della Chiva,
una tecnica ideata negli anni Ottanta
dal dottor Claude Franceschi a Parigi,
che conserva la safena, ma la libera in
vari punti dalle sue vene affluenti malate,
attraverso speciali legature.
Per i piccoli vasi dilatati, si può ricorrere
invece alla scleroterapia, ovvero
all’iniezione di una sostanza che ne
provoca sempre la chiusura definitiva.
In tutti i casi, il sangue continua a fluire
verso l’alto attraverso gli altri molteplici
canali venosi della gamba, restituendo
al paziente una migliore vita sociale
e lavorativa.
Come abbiamo visto, le tecniche si
sono davvero evolute moltissimo negli
ultimi anni, tanto che l’insufficienza venosa
non è più un problema serio per la
salute come lo era nel passato.