Gammy ha sei mesi, è nato con la sindrome di Down e ha una malformazione cardiaca congenita. Ma i genitori, una coppia australiana, che l’avevano commissionato (la parola è brutale, certo, ma questa è la neolingua dell’antiumano) a una donna thailandese di Bangkok tramite un’agenzia, non lo hanno voluto perché è malato.
Dopo il parto, d’accordo con l’agente che ha seguito la pratica, hanno preso con sé solo la sorella gemella, non hanno saldato il conto alla madre surrogata che ha partorito e sono tornati in Australia. La donna non conosce la coppia perché tutto si è svolto con l’intermediazione di un agente.
La storia, raccontata dal Daily Mail e dal Sidney Morning Herald, arriva dalla Thailandia ed è un esempio agghiacciante del livello di disumanità cui può arrivare il delirio del (presunto) diritto al figlio che non di rado diventa diritto al figlio "perfetto".
Durante la gravidanza, gli esami stabiliscono che si tratta di due gemelli e al terzo mese viene certificata la sindrome di Down ad uno di loro. La donna, Pattharamon Janbua, 21 anni, di religione buddista, si rifiuta però di abortire e partorisce entrambi. Ha già due figli di tre e sei anni e aveva accettato di “prestare” il suo utero per questa gravidanza per soldi, essendo di famiglia poverissima. Oltre alla cifra pattuita (16mila dollari pari a circa 12 mila euro) ha ricevuto un extra di 1.673 dollari (circa 1.200 euro) quando la coppia australiana ha saputo che si trattava di due gemelli.
Quando però ha partorito e uno dei figli era Down la coppia, con l’intermediazione di un’agenzia con cui era stato fatto l’accordo, si è rifiutata di saldare il conto e darle i restanti 2.341 dollari (circa 1800 euro). «Perché il bambino deve sopportare una cosa simile quando non è colpa sua?», si è chiesto Pattharamon Janbua in un’intervista ad ABC, in lacrime. Poi ha aggiunto: « Io lo amo come se fosse mio figlio, l’ho portato in grembo per nove mesi. Non pensate che non mi interessi niente di lui».
La donna in un’altra intervista al Sydney Morning Herald ha poi fatto un appello: «Vorrei dire alle donne thailandesi di non entrare in questo business della maternità surrogata. Non basta pensare solo ai soldi. Se qualcosa va storto nessuno vi aiuterà e il bambino sarà abbandonato dalla società, da tutti. Dobbiamo assumerci la responsabilità di tutto questo».
Lei ha accettato di prestare il suo utero per soldi: «A causa della povertà e dei debiti, il denaro che mi era stato offerto era molto per me», ha detto alla ABC. «Ho pensato che con quei soldi avrei potuto educare i miei figli e di ripagare i debiti della mia famiglia».
E ora che ne sarà di Gammy? Un medico dell’ospedale dove il bimbo è nato e che ha seguito la vicenda, ha aperto una sottoscrizione online sul sito Gofoundme per raccogliere fondi. Moltissime le donazioni già arrivate. In totale sono stati raccolti più di 50mila dollari.
La storia del bimbo ha commosso e indignato. Molti i commenti negativi su Twitter. «Questa storia mi fa arrabbiare, si tratta di persone avide ed egoiste», scrive Richard. «Scandaloso, una vicenda che fa ribollire il sangue», «queste persone dovrebbe prendersi cura anche del bambino», scrivono altri.