Mauro Palma, Garante Nazionale dei detenuti
Politici, basta linguaggio violento. La bacchettata “a chi ha ruoli istituzionali” arriva alla fine della relazione, ma decisa e motivata: “La sofferenza sia essa la risultante di proprie azioni anche criminose, del proprio desiderio di una vita diversa, merita sempre riconoscimento e rispetto. Merita un linguaggio adeguato, soprattutto da parte di chi ha compiti istituzionali. Ben sapendo che il linguaggio è il costruttore di culture diffuse e l’espandersi di un linguaggio aggressivo e a volte di odio, costruisce culture di inimicizia che ledono la connessione sociale e che una volta affermate è ben difficile poi rimuovere”, così ha concluso la propri relazione annuale al Parlamento il “Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute e private della libertà personale”, Mauro Palma. Vi si possono leggere allusioni a esclamazioni di uomini di governo e che hanno compiti di legislazione, non ultime, ad esempio, quelle del ministro dell’interno Salvini che commentano arresti eccellenti e fatti di cronaca nera nostrani.
Una relazione quella del Garante che, comunque, fin dal suo inizio, è stata particolarmente critica nei confronti di un sistema, quello penitenziario, che nonostante l’entrata in vigore di alcune parti della riforma dell’ordinamento, continua a perpetuare negli anni criticità lesive dei diritti fondamentali dei detenuti: dal sovraffollamento delle carceri, alla carenza di misure alternative ad esse; dall’aumento dei suicidi, ai tempi intollerabili di trattenimento dei migranti nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr); fino alle situazioni ripetute di privazione della libertà “de facto”, come il trattenimento, anche di minori, a bordo di navi.
Il Garante, che ha visitato tra il 2018 e l’inizio del 2019 cento diversi luoghi tra istituti di pena e centri per migranti, ma anche la nave “Diciotti”, e ha monitorato 34 voli di rimpatrio forzato, ha avviato l’analisi partendo dall’affollamento carcerario: se diminuiscono i reati, non diminuiscono i detenuti, anzi “nell’ultimo anno – nota Palma - la popolazione detenuta è cresciuta di 2047 unità, con un andamento progressivo crescente e preoccupante. Parallelamente però il numero di coloro che sono entrati in carcere dalla libertà è diminuito di 887 unità: l’aumento non è quindi ascrivibile a maggiori ingressi, bensì a minore possibilità d’uscita”, in altri termini, si fa uso sempre minore delle misure alternative. Un modello “claustrofilico”, come lo definisce il Garante, “che si riflette spesso sulla tensione interna e troppo spesso sulle difficoltà di chi lavora negli istituti”, che peraltro soffrono un perenne sottodimensionamento di personale.
Sul tema dei migranti trattenuti a bordo delle navi, Palma ha ricordato che rientra nei propri doveri il controllo nei casi “in cui per prolungati periodi la possibilità di scendere a terra in situazione di sicurezza non sia consentita a persone soccorse in mare in acque italiane, o quando, in acque internazionali, siano state tratte a bordo di navi italiane. L’esercizio di tale potere di analisi della situazione ed eventuale segnalazione alla Procura della Repubblica competente è svolto sul principio che nel territorio italiano deve essere possibile a chiunque di godere effettivamente dei diritti”, compreso quello di richiedere asilo.
La relazione ha toccato poi anche il tema dei rimpatri, notando come “delle poco più delle quattromila persone transitate nei ‘Centri per il rimpatrio’ soltanto il 43% sia stato effettivamente rimpatriato: un valore questo che è rimasto su scala analoga nel corso degli anni, mentre la durata massima del trattenimento oscillava tra i 30 giorni e i 18 mesi. Prova questa della mancata correlazione tra durata della privazione della libertà ed effettività della sua finalità”. In pratica, i Centri rischiano di fungere da carcere “improprio” con scopi “politici”: “Occorre chiedersi – osserva infatti il Garante - quale sia il fondamento etico-politico di tale restrizione e quanto l’estensione della durata non assuma l’incongrua configurazione del messaggio disincentivante da inviare a potenziali partenti. Sarebbe grave tale configurazione perché la libertà di una persona non può mai diventare simbolo e messaggio di una volontà politica, neppure quando questa possa essere condivisa”.
Sul tema migranti conclude: “Non è possibile guardare positivamente la riduzione della pressione sul nostro Paese della migrazione verso il continente europeo senza rivolgere lo stesso sguardo al numero di morti in quel mare che un tempo era “nostrum” in quanto condiviso da entrambe sponde e che ora si è tramutato in un muro. E continuando a illuderci di non sapere – noi tutti come Europa - quali siano le condizioni sofferte dalle persone che affrontano il mare nel Paese da cui molti partono, dopo aver compiuto un percorso denso di stenti e di ricatti”.