“Se sei un pittore cerchi sempre un modo nuovo per esprimerti, per far evolvere il tuo lavoro. Non so dire quale sia stata la parte che ho preferito. Si va avanti e si migliora”, spiega Oldman.
La sua prima passione è stata la musica. Ha imparato a suonare il pianoforte da autodidatta, per diventare un pianista. Poi, all’età di quindici anni, andò a vedere La luna arrabbiata di Bryan Forbes, e restò così impressionato dalla mimica di Malcolm McDowell che scelse la recitazione. “Guardando la sua interpretazione, ho capito che un attore deve trasmettere molte emozioni allo stesso tempo. Serve parecchia disciplina: arrivare sempre in anticipo, mai in ritardo. A distanza di anni posso dire che per me non è cambiato nulla dal primo giorno che mi sono messo davanti alla macchina da presa. Quello che conta è la sincerità, perché è quello che colpisce il pubblico”.
All’inizio ha lavorato a teatro, imparando ad apprezzare Shakespeare. I suoi punti di riferimento sono stati Alec Guinnes, Peter Sellers e Peter O’Toole. “Amo recitare, ma per lungo tempo ho pensato che fare cinema fosse un sogno realizzabile solo per icone come De Niro e altri mostri sacri, non per me. Ancora oggi ammiro i miei amici, Tim Roth, Daniel Day Lewis, Colin Firth, mentre invece sono molto critico nei miei confronti, e non riesco a guardarmi sul grande schermo”. L’unica eccezione è per JFK di Oliver Stone. “Quando ho visto il film per la prima volta non potevo credere di aver preso parte a un’opera così importante e ben realizzata. Abbiamo girato a Dallas dove è stato ucciso il presidente: è stata un’esperienza unica”.
Con Christopher Nolan si è calato nei panni del commissario Gordon, nella trilogia su Batman. “È un regista di poche parole, che infonde tranquillità alla troupe e rende facile l’impossibile. Quando ho lavorato con lui, arrivavo sul set direttamente dall'aeroporto di Londra, battevo un ciak e subito mi trovavo calato nel personaggio, senza tanti pensieri. È un metodo che continua a funzionare, anche se mi preparo prima".
Ne L’ora più buia ha sfruttato la sua innata capacità di modulare la voce, si è sottoposto a ore estenuanti di makeup e ha. “Penso che quando si interpreta una persona veramente esistita bisogna fare i conti con il ricordo che ha lasciato. I famigliari ancora in vita non devono vergognarsi, per questo ci metto sempre tutto me stesso”. E per Oldman, nato e cresciuto a Londra, il film di Joe Wright ha un significato particolare: “Solo lavorando ad Hollywood sono riuscito a essere apprezzato dal cinema del mio Paese. L'ora più buia mi ha permesso di tornare a casa da protagonista".