Pelléas et Mélisande di Claude Debussy è una delle opere più affascinanti della storia della musica. Il suo ritorno al Maggio Musicale Fiorentino (dal 18 al 25 giugno) è straripante di significati: Daniele Gatti, da poco nominato direttore musicale del Concertgebouw di Amsterdam, una delle più grandi orchestre del mondo, sale sul podio dopo un’esperienza di 8 anni a Parigi con l’Orchestre National; Daniele Abbado, il figlio di Claudio, si cimenta nella regia di un’opera che fu uno dei più grandi successi del periodo scaligero del papà. Ed il cast di cantanti italiani (Paolo Fanale, Monica Bacelli nei ruoli del titolo) rappresenta, come ha sottolineato Gatti, “una marcia in più per questa edizione”: rischiosa, ma attraente. Gatti alterna esperienze di teatro molto psicologico, come quello di Verdi, ad esperienze di teatro fantastico: Wagner, ed ora Debussy: “Credo sia bello passare da un modo di fare teatro ad un altro: sento entrambi i generi molto stimolanti. Chiaro, sono un direttore latino e sono nato col teatro italiano, con Verdi: e la dinamicità che si trova nelle sue opere non è ciò che si va a cercare nell’altro repertorio. Ma sento tutto dentro di me. Certo, è diverso dirigere le sinfonie di Beethoven ed i balletti di Prokofiev: ma quando si dirigere un’opera d’arte bisogna comunque penetrare nel suo interno, esplorarne i confini e trasmetterli al pubblico. Anche se alla fine è normale avere maggiori affinità: nel mio caso con Wagner e Verdi per esempio”.
Lei ama molto i “progetti”. Anche questo passare dal Parsifal di Wagner al Pelléas lo è.
“Sì, sto cercando di mettere a punto un percorso fatto di appuntamenti particolari. E gli 8 anni passati a Parigi imbevuti di molto Debussy sfociano in questo Pelléas. Però io sono sempre stato convinto e lo ribadisco che quando noi ci accostiamo ad un’opera d’arte, quell’opera è unica: è quell’opera e basta. Poi gli psicologi, gli storici, i critici la inseriscono in un ampio arco: ma il compositore parte da una prima battuta che non è il proseguimento dell’ultima battuta che ha precedentemente composto. Sì, possono esserci dei riferimenti, ma comunque l’autore si dedica a quella creatura, che è nuova. Io mi comporto allo stesso modo anche da interprete: quando comincio a studiare un’opera la prendo per quella che è, in questo caso Pelléas: chiaro che ci sono echi di altre composizioni di Debussy, ma sono funzionali in senso teatrale alla nuova creazione”.
Cosa rende magico e particolare Pelléas?
“Debussy cercava da tanti anni un libretto che fosse diverso da quelli alla moda, con le solite convenzioni o situazioni, o strutture: e da questo punto di vista Pelléas rompe con l’idea dell’opera tradizionale. Poi il Pelléas è un’opera avvolta nel mistero: i personaggi non si sa da dove provengano ed in qualche modo svaniscono alla fine della vicenda. Anche la trama è più un succedersi di situazioni. Ma la novità più grande è rappresentata dal fatto che Debussy tratta i cantanti come personaggi archetipi: la parte vocale è molto recitata. Basta pensare che non esiste un solo melisma in tutta la partitura, cioè non c’è una vocale stesa su più note.. Come è tipico dell’espressione dell’anima che abbiamo nel teatro italiano. Ad ogni consonante corrisponde una nota”.
E l’idea del cast tutto italiano?
“E’ stata una mia proposta. Ho pensato che il Maggio debba tornare ad essere soprattutto un festival con progetti originali, particolari. Con un’idea a monte di un allestimento. Oltre ad essere italiani, tutti hanno un rapporto verginale con questo titolo: anche Daniele Abbado debutta. E per molti cantanti quest’opera è lontana dalle loro abitudini. Tutti si sono buttati con tanto impegno e con tanta curiosità. Credo sia anche un segno per il nostro Paese di radunare le nostre forze. Due anni fa ho fatto un 7 dicembre con i 3 protagonisti della Traviata stranieri. Ora succede il contrario”.
Ed in un video di presentazione anche Daniele Abbado è in sintonia col direttore a proposito del capolavoro su libretto di Maurice Maeterlinck: “Un’opera dell’immaginario. E, come sostiene Pierre Boulez, un’opera irripetibile, che non lascia epigoni. La presenza particolare è quella della Natura, che parla, è in primo piano. In questo spettacolo staremo il più lontano possibili da qualsiasi tentazione di natura realista o idealista