Erano in pianto i ragazzi che vivono nella piccola parrocchia cattolica della “Sacra Famiglia” a Gaza, quando hanno visto le tre suore prepararsi alla partenza. “Perché ci lasciate?”, chiedevano loro con insistenza. “E’ stato il momento più difficile. Davvero straziante”. Stenta a trovare le parole giuste per esprimere il dolore del distacco, suor Maria Laudis. Trentasei anni, brasiliana, è una delle tre religiose dell’Istituto Serve del Signore della Vergine di Matarà, che prestavano servizio nell’unica parrocchia cattolica di Gaza, e costrette ad evacuare durante una tregua e rifugiarsi a Beit Jala, una località vicina a Betlemme.
“La situazione è precipitata, anziché migliorare. Pensavamo che con l’arrivo delle forze di terra, cessassero i bombardamenti ma così non è stato, anzi si sono intensificati, mettendo a rischio la vita di molte famiglie della comunità cristiana”, spiega la religiosa. “Poco prima di andar via, tre missili sono caduti proprio di fronte agli edifici della parrocchia. La paura è stata tanta. Non c’è più sicurezza per la popolazione che sta sfollando”. I bombardamenti si sarebbero avvicinati, a quanto racconta la religiosa, perché i militari israeliani avrebbero individuato un comando di Hamas con un tunnel nel territorio della parrocchia. “Il risultato è che le case tremano e i bambini s’ammalano per la paura”.
Le religiose della congregazione argentina sono presenti nella Striscia dal 2005 e, oltre all’attività pastorale classica, portano aiuto alle famiglie più povere del territorio, seguono i minori nell’attività scolastica e d’animazione. Ora nella parrocchia della Sacra famiglia sono rimaste col parroco, don Jorge Hernandez, missionario argentino dell’Istituto del Verbo incarnato, solo le suore di Madre Teresa che accolgono 28 bambini disabili e nove donne anziane. Le famiglie dei minori, invece, hanno abbandonato le loro abitazioni. Suor Laudis è entrata a Gaza City nell’aprile scorso. “Prima di Gaza sono stata in missione in Egitto per 11 anni. Saremmo rimaste anche noi, ma i superiori ci hanno chiesto di uscire. Vivere in situazioni al limite è la nostra missione e non appena le condizioni ce lo permetteranno, torneremo laggiù. Siamo ben accolte dalla popolazione perché aiutiamo tutti, senza distinzione di credo”, osserva ancora la giovane missionaria. Di recente avevano acquistato e installato piccoli generatori d’energia elettrica per le abitazioni limitrofe e realizzato dei serbatoi per l’acqua ad uso domestico. “La comunità cattolica soffre molto e denuncia questa guerra ingiusta. Perché non si apre la frontiera? A queste condizioni non c’è futuro per la comunità palestinese”, conclude con amarezza.