Quel genio di Chesterton l’aveva predetto con
l’allegrezza tipica di chi afferma una cosa seria senza essere serioso: «Fuochi
verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno
sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate». Ecco, ci siamo.
Il 20 giugno in piazza San Giovanni a Roma va in scena una mobilitazione trasversale
di famiglie, laici, cattolici, non credenti, singoli, parrocchie e associazioni
(dalla "Manif pour tous" ai comitati "Sì alla famiglia", dal Cammino neocatecumenale all'Alleanza Evangelica italiana fino al
comitato parlamentare per la famiglia con oltre un centinaio di adesioni
trasversali).
Per fare cosa? Per difendere l’ovvio: vale a dire che una
famiglia può generare alla vita un’altra persona solo se è composta
da un uomo e da una donna. E che la strada della rivendicazione del figlio come
diritto assoluto, a tutti i costi, per tutti, porta dritta dritta – nel nome di
un egoismo mascherato da finto buonismo e della solita, stucchevole retorica
dei “diritti civili” – a pratiche pericolosissime e allucinanti come l'utero in
affitto o il mercato in provetta dei figli, nuova inquietante frontiera del business
del futuro che spezzetta l’uomo, letteralmente, lo divide in parti (ovuli,
cellule, embrioni…) e ne fa commercio.
Si scenderà in piazza anche per dire no al disegno
di legge Cirinnà sulle unioni civili (ora in Commissione Giustizia al Senato e
sul quale si comincerà a votare nei prossimi giorni) che prevede l’apertura alle
adozioni gay per via giurisprudenziale con il pericolo più concreto di legittimare
surrettiziamente la pratica dell’utero in affitto.
E poi, last but not least, c’è l’ubriacatura della teoria del gender che il Papa ha definito più volte una “colonizzazione ideologica”, un ricatto. Nelle scuole italiane ed europee si è insinuata con la scusa della lotta all’omofobia scippando ai genitori e alle famiglie la libertà di educazione dei propri figli, baluardo irrinunciabile di una società autenticamente liberale e democratica. Insegna, l’ideologia del gender, che non c’è differenza tra maschile e femminile e che l’identità sessuale non è un dato di natura, biologico ma una costruzione sociale, una scelta che il singolo può fare in base ai propri gusti e al contesto storico-sociale. Il gender, nella sua paradossalità, finora è riuscito a incidere profondamente sulle scelte politiche del Parlamento italiano (come dimostra la proposta di legge Scalfarotto già approvata dalla Camera e ora al Senato) e sull’educazione scolastica dei ragazzi attraverso una “Strategia nazionale” voluta dal Governo e diffusa nelle scuole contro l’omofobia, solito grimaldello agitato come strumento di repressione nei confronti di chi sostiene un’antropologia diversa.
Nel suo ultimo saggio, Passaggio d'epoca, il sociologo Pietro Barcellona, non certo uno studioso cattolico, scriveva: «Il problema della vita, o meglio del potere sulla vita e del rapporto tra vita e potere, che per un lungo periodo della storia umana è stato relegato alla dimensione privata, è divenuto la posta in gioco del nostro tempo. Il dominio della vita consiste nel sostituire la natura nei meccanismi del vivente, arrivando alla produzione della vita per mezzo della tecnica, attraverso tecniche di manipolazione e di appropriazione del vivente; oltre ad infrangere ogni sacralità della vita, si afferma così un processo di frantumazione dell'individuo, non più percepito come persona organica, in cui gli aspetti psicologici sono indivisibili dal corpo, ma come entità fisica divisibile in più parti e implementabile con reti neurali e microchip». Ecco qual è la posta in gioco del nostro tempo.