Non studiano più, ma neppure lavorano, sono i giovani inattivi che rientrano nella definizione di Neet (Not in Education, Employment or Training), nata nel Regno Unito verso la fine del secolo scorso, e dal 2010 adottata dall’Unione europea come indicatore di riferimento sulla condizione delle nuove generazioni. In Italia sono tanti, molti di più della media europea, e rappresentano un notevole costo per la società. L’incidenza dei Neet nella fascia 15-29 anni era del 26,2% nel 2014 (contro il 15,4% della Ue). Nel 2015 il valore è stato pari al 25,7% (14,8% Ue) e nella prima metà del 2016 pari al 22,3%. Ovvero attualmente sono 2 milioni e 200 mila i giovani italiani che non studiano e non lavorano con un costo pari al 2 % del PIl. La composizione dei Neet è molto eterogenea, va dal neolaureato con alta motivazione e alte potenzialità che sta attivamente cercando un lavoro in linea con le proprie aspettative fino al giovane uscito precocemente dagli studi, scivolato in una spirale di marginalità e demotivazione. Ma rientrano anche le persone che non hanno un impiego per scelta, perché vogliono prendersi tempo per esperienze di diverso tipo o per dedicarsi alla famiglia. In ogni caso, secondo i dati Eurofound, nella composizione dei Neet, in Italia è più bassa rispetto alla media europea la quota di chi ha problemi fisici, mentre è maggiore quella di chi è disoccupato di lunga durata e di chi è scoraggiato. Secondo i dati Eurostat più alto in Italia è anche il numero di Neet che, indipendentemente dalla ricerca attiva o meno, sono interessati ad un lavoro: il dato nel 2015 è pari al 20,3% per l’Italia e 10,3% per la media europea (mentre il dato dei non interessati è analogo: 5,3% Italia e 4,6% Unione europea). È entrata più nel dettaglio l’indagine “Rapporto giovani” svolta dall’Istituto Toniolo dell’Università Cattolica su un campione rappresentativo di 5.200 giovani tra i 18 e i 34 anni. Meno del 20% dei Neet non sta cercando lavoro (14,5 tra i maschi e 23,3% tra le femmine), mentre oltre l’80% è interessato a una. Anche una buona quota di chi sta attualmente studiando è pronto a valutare un’offerta di lavoro (attorno al 30%).
Tra i Neet che non cercano lavoro, oltre la metà degli uomini e quasi un
terzo delle donne dichiara che se gli venisse offerto un impiego lo
accetterebbe subito. Solo una parte molto marginale non cerca lavoro e
non è interessata. Tra le donne è maggiore il peso degli impegni familiari e quindi la necessità di lavoro e famiglia. I
maschi invece che si adattano di più, avendo più esigenza di lavorare e
meno vincoli di impegni familiari.«A mantenere elevato il numero di
Neet in Italia», sottolinea Alessandro Rosina, Demografo dell’Università Cattolica
e coordinatore dell’Indagine Rapporto giovani, «“contribuiscono, in
misura maggiore che negli altri paesi avanzati, i giovani con carenti
competenze e in condizione di disagio sociale, a rischio di
marginalizzazione permanente, ma anche neodiplomati e neolaureati con
buone potenzialità ma con tempi lunghi di collocazione nel mercato del
lavoro per le difficoltà di valorizzazione del capitale umano nel
sistema produttivo italiano».