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sabato 26 aprile 2025
 
IL PEDAGOGISTA
 

«Diamo valore alla scuola non al voto»

10/09/2024  Il pedagogista a 50 anni dall'istituzione dei decreti delegati: «Oggi, nell’incontro insegnanti-genitori non sono al centro il ragazzo o il bambino, ma questioni molto personali, quasi fosse in gioco l’onore di qualcuno»

L'apertura di questo anno scolastico avviene a 50 dalla legge dei decreti delegati  che istituì la rappresentanza di studenti e genitori nella scuola. Avrebbe dovuto essere l'inizio di un'alleanza tra famiglia, insegnanti e ragazzi. Una relazione che avrebbe portato solo del bene a tutte le parti in causa. Non sembra che sia stato così e oggi, addirittura c'è cho ha chiesto che mamme e papà, sempre più sindacalisti dei propri figli er avversari dei professori, facciano un passo indietro. Su Fc ne abbiamo parlato con Raffele Mantegazza, pedagogista, ex insegnante e papà.

 

Senza arrivare alle aggressioni fisiche, che pure ci sono, e ai ricorsi in tribunale che fanno notizia, si direbbe un dato di fatto che la relazione educativa tra adulti, insegnanti-genitori-dirigenti, dentro la scuola viva, di questi tempi, momenti di tensione. Abbiamo chiesto a Raffaele Mantegazza, associato di Pedagogia generale all’Università di Milano Bicocca, nonché padre di due studenti delle superiori ed ex insegnante, di aiutarci a contestualizzare il problema.

Professore, davvero questa relazione si va deteriorando?

«Purtroppo sì e molto rapidamente: spesso nell’incontro insegnanti-genitori non sono al centro il ragazzo o il bambino, ma questioni molto personali, quasi fosse in gioco l’onore di qualcuno: sarebbe importante che l’insegnante relazionasse del ragazzo a scuola e il genitore del ragazzo a casa, lasciando dapprima il registro chiuso. Penso sia stato un errore mantenere dopo il Covid colloqui a distanza: dal vivo si stabilisce un’altra relazione. E mi chiedo: è giusto che ragazzi ormai grandi, come mio figlio 17enne, non possano parteciparvi?».

Quando è iniziato il deterioramento?
«Non nel ’68, come si pensa, ma all’inizio degli anni Novanta, quando ha iniziato a prevalere la cultura dell’individualismo, per cui la scuola deve essere al servizio di mio figlio e dargli quello che voglio come fosse un distributore automatico. È lì che viene meno la percezione della scuola come comunità educante in cui l’utente non è mio figlio, ma la 4 D».

Il registro elettronico complica le cose?

«È uno strumento utile di trasparenza. Ma, invece di aprirlo in diretta per placare la propria ansia, il genitore può farlo una volta a settimana insieme ai figli».

Che cosa dovrebbe cambiare la scuola?

«Intanto riconoscere che il modello di apprendimento “spiegazione, studio a casa, compito in classe, voto” non sta più funzionando con ragazzi che crescono iperstimolati da altro, a cominciare da Internet. Bisogna inventarsi qualcosa di meno passivo ed evitare di patologizzare anche comportamenti adolescenziali nella norma: un conto è buttare a terra l’astuccio dopo un brutto voto, un conto è aggredire l’insegnante».

Cosa consiglierebbe a un genitore?

«Innanzitutto di dare valore alla scuola: non tanto al voto, quanto all’esperienza che vi si fa. Un genitore dovrebbe essere per un figlio che va a scuola come la persona che gira le pagine al pianista: ti sto accanto, ma devi suonare tu».

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