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giovedì 19 giugno 2025
 
 

Gente d'aMare: i pescatori, oggi

12/06/2011  Una specie in più da salvare: quanti si guadagnano da vivere stando più su una barca che a casa propria. Slow Fish ha lanciato l'allarme. Per capire, siamo usciti con loro.

Oggi come ieri dipende dalle stagioni, dalla luna, dal tipo di pesce che si vuole tirar su. In mare non si timbra il cartellino. Uno si gestisce l’orario come meglio crede, posto che le opportunità di guadagno sono direttamente proporzionali alla capacità di sacrificio. «In questo periodo, ad esempio, esco tra le 20.30 e le 21 con le luci che servono per attirare sotto la barca totani e cavalle, un particolare tipo di sgombri. È la pesca alla lampara. Mi regolo in modo che quanto finisce nelle reti sia al mercato ittico di Genova alle 5 del mattino», spiega Simone Gambazza, 64 anni, figlio di un muratore emiliano trasferitosi in Liguria, oggi presidente della Cooperativa pescatori di Camogli, che conta una trentina di soci. Gli è accanto suo fratello Ettore, 61 anni. «L’amore per il mare ce l’hanno trasmesso i nonni», precisa. «Non è più la vita grama di una volta, anche se la tecnologia non azzera

la fatica. Ci vuole tanta passione, ecco».

Slow Fish ha lanciato l’allarme proprio pensando a lui e a quelli come lui: c’è una specie in più da proteggere, è quella dei pescatori. Sul finire di maggio, in una Fiera di Genova impreziosita dai saperi e dai sapori del mare, la manifestazione promossa da Slow Food ha tracciato l’identikit di chi vive più su un’imbarcazione che a casa propria. In Italia, nonostante un lieve aumento della presenza di donne e stranieri, il numero complessivo dei pescatori sta calando.

Secondo il Centro studi di Lega pesca, infatti, nel periodo 2002-2007 chi opera in questo settore è passato da 33.177 a 28.542 unità. L’età media oscilla tra i 41 e i 43 anni, ma tende ad aumentare perché i giovani che prendono il largo sono pochi, sempre meno. «Mio figlio, 28 anni, che pure ha studiato al Nautico, ora lavora con me», dice invece, con orgoglio, Simone Gambazza, centellinando le parole, abituato com’è al silenzio rotto solo dallo sciabordio delle onde sulla chiglia.

La sua è una vita passata sul mare del Tigullio, declinando la pesca al plurale. Perché i modi di farla sono più d’uno. Una particolare citazione merita la Tonnarella di Camogli, diventata un nuovo Presidio di Slow Food, sostenuto dal progetto "Mareterra di Liguria" della Fondazione Carige. Anche lì i fratelli Gambazza sono di casa. «Sebbene le prime notizie documentate sul suo conto risalgano al 1600, si ritiene che la Tonnarella esista dal 1300», affermano Ilaria Vielmini, Maddalena Fava e Valentina Cappanera, tre biologhe marine che hanno dato vita all’associazione culturale Ziguele, termine che, in genovese, indica pesciolini colorati, noti comunemente come “donzelle”.

«A differenza delle tonnare più grandi e più famose esistenti altrove, quella di Camogli non serve più a catturare tonni», precisano le biologhe. «Siamo nell’area marina protetta di Portofino, dove la pesca è ammessa a determinate condizioni. Lo sbarramento, lungo 340 metri e profondo da 10 a 40 metri, è più che mai biodegradabile, dal momento che è tessuto con fibra di cocco: viene calato ad aprile e tolto a settembre. Serve a incanalare, intrappolandoli, esemplari adulti di specie migratorie che possono essere ricciole, palamite, sugarelli, boghe, occhiate, tombarelli. I pescatori, in questo caso, escono alle 3.30-4 e smontano alle 18».

È giorno fatto quando, nella Tonnarella, braccia robuste issano reti ecocompatibili gonfie di pesce di passo. Tra gli altri, ecco Giorgio Fiorentini, 46 anni, un tempo litografo: «Complice la crisi dell’editoria, d’accordo con mia moglie ho deciso di trasformare una passione in lavoro. Ho pure comprato un gozzo, così continuo a pescare da ottobre a marzo». Ci sono anche tre romeni. Ionut Buruleanu ha 23 anni, Gheorghe Costache 24, Ion Niculescu 55: «Per sei mesi facciamo i taxisti a Bucarest, per il resto dell’anno siamo qua».

 «Non possiamo che parlare bene di loro e degli altri», dice Mario Mortola, direttore della Cooperativa pescatori di Camogli. «Unendo le forze, facciamo sì che la burocrazia non diventi soffocante. Riforniamo direttamente i mercati: così si guadagna ancora. Alcuni ragazzi, però, cresciuti con noi, vanno poi su rimorchiatori, bettoline o yatch. Posti meno faticosi, più garantiti, meglio retribuiti. Fortunatamente c’è chi persevera».


Dall’altra parte della Liguria, a Ponente, a Sanremo, a bordo della sua barca, Furore IV, Guglielmo Volpe, 51 anni, abbraccia i due figli maschi, Pietro, 26 anni, e Loris, 16 a settembre. Il primo lavora già con lui; il secondo lo farà, prima o poi. «Sono nato in Liguria da una famiglia di pescatori siciliani. Ho scelto la via della società familiare; a terra, mia moglie Isabella mi dà una grossa mano, abbiamo i nostri clienti, singoli e ristoranti. Siamo un po’ come i contadini nelle campagne, teniamo puliti i tratti dove lavoriamo. Tiriamo su di tutto, dai copertoni alle bottiglie di brandy. Oggi il computer governa i verricelli per le reti e il Gps ti dice dove sei, anche se io mi oriento a occhio nudo. Certo rimane il fatto che ti svegli alle 3 e vai a letto, se va proprio bene, alle 22».

«Io mi tengo libero il week-end», sorride Pietro. «Per il resto mi sta bene così. Alcuni amici dicono: meglio prendere 1.200 euro al mese ma vivere una vita normale che guadagnarne 1.500 facendo la tua. Io non cambio. Vuol mettere il senso d’infinito che provo là, al largo?».

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