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sabato 21 settembre 2024
 
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Quando l'arte è troppo distante dai drammi della storia

03/03/2022  Il caso del direttore d'orchestra russo Valery Gergiev che si è rifiutato di condannare la guerra è solo l'ultimo esempio del tormentato rapporto fra arte e politica, da Beethoven a Maurizio Pollini. Un gesto simbolico può avere effetti dirompenti...

Gli artisti devono essere indipendenti dalla politica? Devono essere giudicati per quello che scrivono, suonano, dipingono senza che si tenga conto delle loro idee? Il dibattito si è acceso in questi giorni in seguito ad un caso che è diventato di pubblico interesse ed ha scatenato, come sempre avviene, un putiferio di polemiche e di voci spesso poco disposte al dialogo. Valery Gergiev, grande direttore d’orchestra applaudito in tutto il mondo, ha diretto al Teatro alla Scala la prima rappresentazione del capolavoro di Ciajkovsky La donna di Picche. La notte stessa la Russia ha iniziato la sua offensiva in Ucraina.

Il sindaco di Milano Beppe Sala (presidente del Consiglio di amministrazione del Teatro) e il direttore artistico e sovrintendente Dominique Meyer hanno chiesto a Gergiev di condannare la guerra (non il suo fautore) e di invocare pubblicamente una ricomposizione pacifica dell’atroce conflitto. Il silenzio del musicista ha portato il Teatro a cancellare la sua presenza sul podio, in sintonia con Teatri, Festival e Orchestre di New York, Edimburgo, Monaco di Baviera, Verbier (Svizzera) e Lucerna.

A molti la richiesta è parsa un’offesa al principio dell’indipendenza dell’artista dalla politica e una costrizione, negando l’importanza di un gesto simbolico di rilevanza planetaria. La Scala infatti è il più famoso Teatro lirico del mondo e Gergiev è il vanto della Musica russa: essendo un musicista fedelissimo amico di Putin, che già in passato ha appoggiato la politica del Presidente russo in occasione dell’annessione della Crimea e di altri atteggiamenti espansionistici. Le sue parole sarebbero risultate ancora più incisive di quelle pronunciate da Riccardo Muti da Chicago, o da Kirill Petrenko, direttore russo dei Filarmonici di Berlino.

Ma il principio di indipendenza ha basi nella storia delle Arti? E non è addirittura una sorta di filo conduttore che lega moltissime biografie di protagonisti di questa Storia? Che siano esistiti ed esistano artisti indifferenti alla politica è un dato di fatto: e che tale categoria di artisti abbia dignità e diritto di esistere è scontato. Ma un conto è la libertà di opinione (compreso quella di non avere un’opinione): un conto – in certe situazioni, come la presente – è il distacco dal reale. Un distacco che certamente non hanno dimostrato Maurizio Pollini (storico il suo discorso a fine concerto il 3 marzo 1970 contro il bombardamento di Hanoi) e Claudio Abbado, nello schierarsi sempre contro le guerre (che è altro dalla politica) e a favore dei più deboli: senza peraltro negare il loro appoggio anche a schieramenti politici, assecondati da compositori come Luigi Nono. Né lo ha dimostrato Daniel Barenboim che si è prodigato per far suonare insieme giovani israeliani e palestinesi nella West-Eastern Divan Orchestra, portandoli addirittura in terra palestinese nel concerto in Ramallah nel 2005.

Senza dimenticare i tanti artisti del pop e della musica leggera che sono stati la colonna sonora delle contestazioni contro la guerra in Vietnam, o hanno ispirato i movimenti pacifisti: come John Lennon con la celeberrima Imagine (in realtà ispirata secondo il suo autore al Manifesto del partito Comunista). E stretto, a volte strettissimo è stato il rapporto fra musica e politica in Autori del passato: Sostakovich, fedele per necessità al regime sovietico, ha comunque ingoiato amari bocconi, lasciando però che i suoi capolavori svelassero i suoi reali sentimenti. O il sommo Richard Strauss, il cui rapporto con il regime nazista mai è stato chiarito: autore “ufficiale” del regime, ma solidale fino in fondo con l’amico Stefan Zweig, ebreo e perseguitato. Ridotto alla miseria per quei suoi rapporti col nazismo a fine guerra, e poi riabilitato e capace di comporre con Metamorphosen una delle più grandi metafore contro la distruzione e l’abominio del nazismo stesso.

Meno clemente col fascismo (e con chi lo appoggiò) fu Arturo Toscanini, che scelse la via dell’esilio: dorato, ma pur sempre esilio. E se questi sono casi estremi, potremmo citare decine di esempi di artisti fedeli ad ideali e partiti politici, fino a diventarne una bandiera: Neruda, Picasso, Celine...

Quasi tutti gli artisti comunque si sono schierati contro le guerre: e sarebbe auspicabile che dal mondo dell’arte le guerre condannate fossero anche quelle, le troppe, dimenticate. In alcuni casi la condanna ha richiesto coraggio: come nel caso – tornando all’attualità - della direttrice del Teatro Nazionale di Mosca Elena Kovalskaya con le sue dimissioni (“non voglio essere stipendiata da un assassino”, ha detto). Ma ricordiamoci soprattutto di Beethoven: che non solo non esitò a strappare dal frontespizio della sinfonia Eroica la dedica a Napoleone quando il Bonaparte si proclamò Imperatore (e fu atto che oggi definiremmo “politico”), ma che ci ha lasciato nell’Ode alla gioia della Nona Sinfonia una condanna a questa guerra, a tutte le guerre, a tutte le divisioni dell’Umanità: “Abbracciatevi, moltitudini! / Questo bacio al mondo intero!”

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